Nessuno salva il ponte palladiano
Bassano, niente restauro per una bega tra Comune e impresa edile
Polemiche a Bassano per lo storico Ponte degli Alpini: una bega tra il Comune e l’impresa edile blocca il salvataggio. E adesso tutto è appeso alle decisioni dei giudici.
«Ne’ monti è stata così gran tempesta / E tanta pioggia dilagossi al piano / Che ha sgangherato il Ponte di Bassano, / E l’ha portato via come una cesta». Ecco l’incubo dei pessimisti: che venga giù una piena come quella prima che il ponte amato da tutti gli italiani sia riparato e rinforzato. Bisogna fare presto. Ma i lavori si sono impantanati in una folle bega buro-giudiziaria.
Era quella del 1748, la «Brentana» descritta dal poeta Gasparo Gozzi. Perché così si chiamano le piene del fiume, così violente da travolgere nei secoli più volte il ponte fino a meritarsi la definizione d’una catastrofe speciale. Basti cercare, per averne un’idea, il video del Corriere-youreporter «la spettacolare Brentana del 13 maggio 2013». Dove si vede quanto l’eleganza del ponte sia esposta alla collera schiumante delle acque.
È a rischio da otto secoli, quel Ponte Vecchio coperto costruito nel 1209 e distrutto non solo dalle piene, ma anche, per tre volte, a causa della posizione strategica. Lo incendiò nel 1511 il maresciallo di Francia Jacques de La Palice per rallentare l’esercito imperiale ai tempi della Lega di Cambrai, lo annientò nel 1813 il viceré Eugenio di Beauharnais e tornarono distruggerlo nel 1945, sempre per impedire il passaggio ai nemici, prima i partigiani e poi i nazisti.
Gli americani, come scrisse il nostro Egisto Corradi, avrebbero tirato su un ponte Bailey. Solido. Funzionale. Ma come si poteva «sopra un Bailey bridge, montato con chiavarde e bulloni in otto ore, con il semplice ausilio di un manuale del geniere», perpetuare i sogni delle coppiette chiamate a «stringersi la mano e darsi, soprattutto, bacini d’amore?». Fu questo a salvare il ponte di Bassano: la volontà di ricostruirlo, dopo ogni distruzione, «com’era e dov’era». Cioè come l’aveva progettato Andrea Palladio nell’ultima versione del 1569, dopo l’apocalittica piena di due anni prima.
Com’era e dov’era. Fu ancora questa l’invocazione che uscì sul nostro Corriere d’informazione il 1° gennaio 1948. Perché, come scrisse Giovanni Cenzato, da quel balcone «bevi tutta la storia e la poesia che i secoli hanno intrecciato» e quindi «gli alpini d’italia vogliono il ponte di Bassano ricostruito».
Furono formidabili, gli alpini. Ci si impegnarono, su quel ponte, come se costruissero una cattedrale: «A nobile ponte nobili legni: s’incominciarono a porre le fondamenta di pietroni e in questi gigantesche palafitte di robinia, poi le stilate e tutto il corpo di legno di castagno compatto, poi le colonne di sostegno e il tetto di larice rosso. Otto mesi e 17 giorni di lavoro». E tutto «ad onta di sei piene del Brenta che per quattro volte hanno strappato via le passerelle di servizio».
Basta quella nota sugli «otto mesi e 17 giorni» spesi nel 1945 per spiegare lo sconcerto, l’irritazione e la rabbia dei bassanesi di oggi. Dicono le cronache che tutto comincia nel 2014 quando Ilario Baggio, un appassionato di canottaggio, si accorge passando sotto le arcate che «le stilate lignee che pescano nelle acque del Brenta e sostengono il ponte tanto caro alla patria», come scrive Famiglia Cristiana, sono in pessime condizioni. Ci porta subito, in canoa, il sindaco Riccardo Poletto. Parte l’allarme. Partono gli SOS. Si muove, d’accordo con Luca Zaia, Dario Franceschini. Che stanzia 3 milioni di euro. È l’estate del 2015.
A dicembre, i lavori vengono affidati in via provvisoria a una società trevisana, la Nico Vardanega Costruzioni. A febbraio 2016 il Comune fa retromarcia: la ditta che ha vinto l’appalto s’appoggia per «l’avvalimento» su Al.ma, un consorzio casertano di Aversa che non avrebbe «i requisiti di qualificazione professionali e tecnici necessari» e affida il cantiere ai secondi classificati, i trentini di Inco. Vardanega fa ricorso, il Tar sospende i lavori e ad aprile dà ragione al Comune. Nuovo ricorso a maggio al Consiglio di Stato, che blocca i lavori di nuovo. A ottobre il tormentone vede tornare in sella i vincitori originari. A gennaio del 2017 il municipio di Bassano prende atto e, controvoglia, firma il contratto con l’impresa trevisana. E versa un primo anticipo di 879.907 euro. Nel frattempo i costi previsti sono saliti, tra Stato, Regione, Comune e vari, a 6.700.000 euro.
Neanche il tempo di partire sul serio e ad aprile 2017 il Comune comincia a contestare «gravi inadempienze contrattuali». Ai primi di giugno, il Giornale di Vicenza pubblica un’intervista all’architetto casertano Raffaella De Carlo, «direttore tecnico del cantiere» per la parte dei lavori per i quali la società trevisana non possiede i requisiti. Come mai non si è mai presentata a Bassano? «Ho due bambine che mi tengono occupata per tutto il mio tempo. Di conseguenza, presa da tutte le mie cose, non ho mai potuto essere presente». Ma almeno un’occhiata al progetto di restauro del Ponte l’avrà data... «No, non ho avuto modo di vedere il progetto. A dire la verità, è da un bel pezzo che non mi occupo di queste questioni». E che dice il presidente del Consorzio, Alessandro Vitale? «Non sono interessato a parlare di questa vicenda». Grazie.
Da allora è passato un altro anno. E quasi non si è mossa foglia. E quello che nei desideri del Comune, come ricordava ieri sul Corriere del Veneto, Giovanni Viafora, avrebbe dovuto essere un «modello di studio da fare entrare a pieno diritto negli atenei di tutto il mondo», si è trasformato in un «disastroso pasticcio». Che vede di là le ditte trevisana e casertana accusare il Comune (cui chiedono quasi un milione e mezzo di danni) di non averle messe in condizioni di lavorare occupandosi fin da subito, ad esempio, degli accordi con la famiglia Nardini, celebre per la grappa e proprietaria di una delle spalle sui cui poggia il Ponte. Di qua il Comune che ha appena varato una determina per risolvere il contratto imputando alla Vardanega costruzioni e al consorzio Al.ma di avere dimostrato, anche con «la mancanza di qualsiasi apporto di mezzi ed attrezzature dichiarate in sede di gara» la loro «totale inaffidabilità e incapacità di portar a compimento l’importante opera».
Come finirà? Mah... È tutto appeso, ormai, alle decisioni dei giudici. E ai bassanesi, che sanno quanto sia vitale il restauro del loro ponte, non resta che levare al cielo l’invocazione di aiuto che il podestà della città inviò un giorno al Doge «con le lagrime in li oci»...