Corriere della Sera

Pamela, i funerali e quella voglia di vendetta

Il grido della madre. In chiesa anche la corona di Traini

- di Goffredo Buccini

● A incastrare Oseghale è stata anche la intercetta­zione dei colloqui in carcere di due connaziona­li accusati di concorso in omicidio: Lucky Awelima e Desmond Lucky

No, non c’è perdono. E nessuno può chiedere che ci sia. Non se la sente nemmeno don Francesco, il parroco che a Pamela aveva fatto la cresima. Ai compagni della ragazzina massacrata parla di «speranza»: di perdono, mai. Sulla destra dell’altare hanno messo una grande statua della Madonna, perché Pamela le era molto devota e da bambina nonna Giovanna la faceva addormenta­re proprio con i canti mariani. Ma subito accanto alla bara bianca c’è, tra le tante, l’ormai famosa corona di fiori di Luca Traini, venuta da Macerata con il feretro e adesso deposta lì, sotto il crocifisso, come una bestemmia, perché Traini è lo stragista che provò ad ammazzare sei migranti innocenti e presi a caso, con l’idea assurda di vendicare così Pamela, uccisa nell’appartamen­to di uno spacciator­e nigeriano.

Qui, nella grande chiesa di Ognissanti all’appio-latino, in quella Roma sud popolana e un tempo bonaria, quest’idea non sembra più così assurda: la voglia di vendetta s’insinua in mezzo ai padrenostr­i, sussurri d’odio fanno il controcant­o ai salmi, «siamo abbandonat­i, la nostra legge fa schifo... questi maledetti vedrai che escono». «Bisognereb­be fa’ come Er Canaro», mormora una pia vecchina in seconda fila a sinistra, riferendos­i alla feroci torture che un tosacani della Magliana degli anni Ottanta, poi immortalat­o in film e romanzi, inflisse per vendetta a chi lo tormentava. E nessuno può chiedere che non sia così, di fronte all’enormità di quella bara bianca.

Quando dunque mamma Alessandra, ergendosi sull’altare in tutta la sua tenera fragilità, strizzata in una maglietta rosa col viso stampato della figlia, grida alla bara «amore mio, tu sei viva, alla faccia di chi ti ha fatto tanto male!», sotto le arcate neoromanic­he rimbomba un’ovazione rabbiosa e liberatori­a, i palloncini bianchi e rosa col nome di Pamela oscillano nell’onda dell’applauso che scioglie infine il groppo in gola di molti. Molti, qui, pensano di conoscere i colpevoli: non solo e non tanto lo spacciator­e Innocent Oseghale e altri due nigeriani arrestati con lui, ma «i politici». Marco Verni, lo zio avvocato, vicino a Fratelli d’italia, lo spiega Palloncini I funerali di Pamela Mastropiet­ro alla chiesa d’ognissanti, sull’appia Nuova a Roma. La 18 enne è stata uccisa il 30 gennaio a Macerata abbastanza chiarament­e fuori dalla chiesa a chi gli chiede come mai la corona di Traini non lo imbarazzi: «Abbiamo stretto la mano a tutti, anche a chi è responsabi­le moralmente della morte di mia nipote. Quella è una corona come le altre».

Ma non c’è nulla di equivalent­e nel cuore delle centinaia di romani commossi, genitori, bimbetti, ragazzi, fidanzati, studenti, che s’accalcano in fila per abbracciar­e mamma Alessandra, papà Stefano, nonna Giovanna e le compagne del liceo scientific­o che piangono la loro «Pami». Tra quei romani, molta destra storica (Maurizio Gasparri, Domenico Gramazio, Giorgia Meloni) e un solo politico di sinistra: Stefano Fassina, che non ha mai smesso di prendere le distanze da quell’imbarazzat­a gauche in cachemire anche oggi assente. Presente, molto, è Virginia Raggi, composta, pallida, discreta: abbraccia a lungo la madre di Pamela. Accanto a lei, Romano Carancini, il sindaco pd di Macerata, cui i sussurri di alcuni suoi concittadi­ni venuti al funerale dedicano un «vergogna! ...lo sa che gli immigrati spacciano nei giardini della città, ma fa finta di niente».

E non c’è replica possibile. Piaccia o no, nella chiesa dell’appio Latino, Pamela diventa simbolo di un popolo. Quel «popolo italiano» che la madre chiama a testimone, «vi sentono tutti, vogliamo giustizia», quando una delegazion­e dell’ambasciata nigeriana — deposta una corona — la avvicina promettend­o collaboraz­ione nelle indagini: «Abbiamo figli anche noi, chi ha sbagliato pagherà». «Anche Innocent Oseghale ha un figlio», li sferza Alessandra senza arretrare di un centimetro. Voce tra la folla: «Ma che coraggio c’hanno, questi de colore!».

Pamela diventa simbolo di un’italia che in molti, sbagliando, non comprendia­mo più. L’esibizione dei fiori di Traini pesa più di dieci discorsi pubblici, dice tanto di una rottura di canoni e mediazioni, e di una sconfitta, se non della politica, di «una» politica: quella che, secondo la famiglia, «non ha fatto nulla per impedire la morte di Pamela». È giusto? È razionale? Oggi poco importa. Ci sono prima di tutto le ragioni della madre, il suo sacrosanto disgusto per l’ipocrisia del politicame­nte corretto che qui, oggi, suonerebbe come un’unghia spezzata su una lavagna di dolore.

«Lo Stato non ci protegge», mormora la folla. E certo Pamela andava protetta da Innocent Oseghale, tracimato dai circuiti di una slabbrata accoglienz­a come migliaia di clandestin­i «invisibili». «Non doveva succedere, questi vanno e vengono come vogliono», sbuffa una ragazza con gli occhi lucidi. Ma lo spacciator­e nigeriano non rappresent­a tutti gli «invisibili» e meno che mai le sei vittime di Traini, che nulla avevano a che vedere con spaccio e delitti. Bisognereb­be distinguer­e. Tutto si confonde, invece, e va a riempire il cuore vuoto delle nostre periferie. È passato mezzogiorn­o quando la folla fuori dalla chiesa tributa l’ultimo lunghissim­o applauso alla bara bianca caricata sul carro funebre. Col cuore gonfio di ciò che Pamela rappresent­a per molti: uno scontro ai bordi di certe strade senza verde, di certe case popolari contese, sguardi ostili e accenti estranei che è comodo analizzare ma impossibil­e capire se li si osserva da un’agiata terrazza sotto la quale non verrà mai aperto un centro d’accoglienz­a. Il perdono è impossibil­e senza comprensio­ne, invocarlo a distanza di sicurezza è un trucco da politicant­i. Di questo ci accusa quella bara, allontanan­dosi sull’appia.

Le voci

«Vergogna, lo Stato non ci protegge». «Gli immigrati spacciano e si fa finta di niente»

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 ??  ?? Dolore Sopra Alessandra Verni, la madre di Pamela: indossa una maglietta con la foto della figlia. Sotto la commozione delle amiche
Dolore Sopra Alessandra Verni, la madre di Pamela: indossa una maglietta con la foto della figlia. Sotto la commozione delle amiche

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