Corriere della Sera

Ma il leader sunnita ora è fragile

Al voto in Libano torna in gioco il premier Hariri Con l’ombra sciita

- di Lorenzo Cremonesi

Le elezioni parlamenta­ri che si tengono oggi in Libano rimarcano la crescente egemonia iraniana sulla regione dopo i recenti successi del regime di Bashar Assad in Siria contro i gruppi dell’opposizion­e. A essere in dubbio è soprattutt­o il ruolo del premier sunnita Saad Hariri, i cui legami diretti con l’arabia Saudita sono stati messi ambiguamen­te in luce dalla farsa delle sue dimissioni, annunciate durante un viaggio a Riad lo scorso 4 novembre e poi ritirate subito dopo.

Si torna alle urne per la prima volta dopo oltre nove anni. Gli elettori sono 3,6 milioni, dovranno scegliere tra gli oltre 500 candidati ai 128 seggi del parlamento. La lunga «pausa» elettorale indica i timori e le fragilità interni di un Paese che si percepisce come molto poco sovrano. Dal 2011 si è fatto di tutto dunque per evitare che le violenze settarie e gli odi religiosi della guerra civile siriana potessero riaccender­si. Non è un mistero che la maggioranz­a sunnita simpatizza­sse con i rivoltosi. Gli stessi fedelissim­i di Hariri hanno sostenuto anche materialme­nte diverse milizie sunnite nelle regioni di Aleppo e Idlib. Al contrario, gran parte dei cristiani e soprattutt­o gli sciiti hanno appoggiato Bashar. Ma i contenzios­i sono molto più antichi e profondi.

È da almeno tre decenni che il regime siriano assieme a quello iraniano mirano a dettare legge in Libano. Ci hanno provato presentand­osi come pacieri della guerra civile (1975-90). Ma quando gli elementi cristiani e sunniti cercarono di prendere le distanze in nome di un Libano indipenden­te, Teheran e Damasco intensific­arono gli aiuti militari all’hezbollah sciita. Seguì una spietata campagna di intimidazi­oni fatta soprattutt­o di assassinii sistematic­i di uomini politici, giornalist­i, intellettu­ali. Lo ha sofferto sulla sua pelle anche Saad Hariri. Aveva 35 anni la mattina del 14 febbraio 2005 quando una potente autobomba sul litorale di Beirut uccise suo padre, Rafiq, il businessma­n e carismatic­o leader amico dei sauditi che più di ogni altro era stato capace di rilanciare il ruolo dei sunniti.

Da allora a chi gli chiede come possa cooperare con Hezbollah e con quelle stesse forze che furono mandanti di quell’attentato, Saad spiega pragmatico: «Un conto sono i miei sentimenti personali, il lutto intimo, il dolore per la morte violenta di mio padre. Un altro i miei doveri pubblici nei confronti del Libano». Quando però si esprime in privato, spesso non nasconde il timore di poter lui stesso venire ucciso. Ultimament­e proprio il mutare degli equilibri tra le potenze regionali ha visto crescere il suo pragmatism­o nei confronti degli sciiti locali. Ma con l’acuirsi delle frizioni tra Iran e Israele, con Hezbollah sempre più in prima linea, e soprattutt­o con il coincidere degli interessi tra il governo Netanyahu e Riad, anche la posizione di Saad si fa più precaria.

Hezbollah

Nei nuovi equilibri regionali si tratta con maggior pragmatism­o la milizia, rafforzata

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(Ap) Fine campagna Sostenitor­i del leader sunnita Hariri

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