Mini, al ginocchio, lunga Una gonna, tre misure Il minimalismo di Prada
A New York sfilano abiti e accessori che anticipano l’estate 2019 La stilista: «È ciò che mi piace, ho dato realtà alle mie fantasie»
È un tramonto newyorkese, rosso e giallo, intenso, che irrompe, amplificato, al settimo piano del Piano Factory, un’ex fabbrica vista Hudson, quartier generale di Prada Usa, spogliato e rivestito dallo studio di architettura Herzog & de Meuron che ne ha fatto uno spazio iper moderno ed essenziale, dove si respira comunque un vissuto e dove si percepisce il bisogno di un dialogo con il mondo che è la realtà.
Forma e sostanza, perché poi le stesse suggestioni arrivano dirette quando nella luce filtrata dalle pellicola e dagli specchi escono queste figure di donne strette-strette «normalmente» vestite — una gonna, i pantaloni, una tshirt, una blusa — per raccontare l’estate 2019. Una collezione resort, che anticipa di parecchi mesi (in settembre) quella «importante» e «forse I capitoli di un racconto Oggi la formula giusta è fare tante sfilate come fossero i capitoli di un unico racconto
per questo — dice Miuccia Prada — creata senza troppe pressioni, lasciando scorrere la voglia di realizzare ciò che mi piace, in questo caso direi che ho fatto realtà delle mie fantasie».
La scelta di New York? «Era tanto che non facevamo niente e poi nella ricerca dei luoghi ho pensato: perché non cominciamo usando casa nostra? Nessuno sapeva che esistesse questo posto e Jacques (Herzog ndr) ha fatto un lavoro bellissimo».
Realtà & semplicità, due parole entrate di gran uso nel linguaggio pradesco, indispensabili forse oggi per un dialogo vero con la gente tartassata da immagini & stimoli: «Avrei fatto anche una tshirt bianca — scherza la stilista — ma non me l’hanno concesso».
Tu chiamalo se vuoi, minimalismo. Aggiornato, riveduto e corretto. Of course. Impensabile immaginare che sia passato indenne attraverso gli anni del decorativismo e dell’immagine prima di tutto. Alla base più che la linearità delle forme (ebbene sì, ci sono anche ruches, se pur controllate), che era la cifra del minimal, c’è la scelta dei capi essenziali. La gonna per esempio, la stessa: versione mini, al ginocchio e alla caviglia. Stop. «Credo che forse sia questa la formula giusta oggi, fare tante sfilate come fossero i capitoli di un unico racconto. Piccoli pezzi, precisi. Idee che insieme formino un pensiero». Ben consapevoli di una storia che, perché no, agli Instagrammer potrebbe piacere eccome, in tutto questo loro riappropriarsi e scimmiottare e rielaborare in nome di una sete di immagini che sembra non placarsi mai.
Ecco il broccato, per esempio. O i tailleur-divise con le giacche corte e squadrate, e l’iconica cintura in vita sulle gonne e sui pantaloni, o la martingala bassa su blouson e cappotti, o il tocco sportivo della polo sotto a un gilet tricot. Segni (immortali) nel tempo. Non senza concessioni alla (umana) fantasia, giusto appunto. Così ecco un buffo cappello quasi un colbacco che allunga ancor di più la figura («me lo ha ispirato mio figlio che ne indossava uno a Natale così, e mi aveva colpito per le proporzioni del suo smilzo cappottino con quel buffo ed enorme cappello, e poi un’immagine di John Galliano che lo aveva messo in testa a Kate Moss») spuntare all’improvviso come un copricapo da alta montagna. Poi un paio di calze ricamate di macro paillette di plastica o anche il suggerimento di azzardare una mini azzurro cielo sulla blusa bianca e gialla.
Nell’insieme comunque il messaggio resta quello dell’immediatezza della realtà. Manca un po’ di sogno e di follia, ma è anche vero che non sono tempi per permetterseli, entrambi. E per festa, in linea, una cena senza fronzoli ma tavoli-specchio e calici di famiglia e poi seduti tra i comuni mortali, come fossero best friends, da Selena Gomez a Uma Thurman, Dakota Fanning, Poppy Delevingne, e gli architetti Herzog & de Meuron e Francesco Vezzoli e i «colleghi» stilisti Marc Jacobs e Raf Simons. Un centinaio in tutto.