LA POLITICA IMPOVERITA DAL PRIMATO DELLA CRONACA
Mentre nelle più antiche sale istituzionali i politici di vertice si fronteggiano in variegate schermaglie, viene spontaneo il bisogno di capire cosa di tutta la vicenda pensi la «base», cioè i milioni di cittadini che hanno votato il 4 marzo. Le dichiarazioni espresse nelle citate antiche sale sono volutamente ambigue, sempre congegnate in modo da permettere passi avanti sul negoziato in corso e al tempo stesso da rassicurare sulla coerenza i propri elettori: «la nostra gente non capirebbe e non sarebbe d’accordo», «la base ha diritto alla trasparenza dei potenziali accordi», «dobbiamo restare fedeli ai milioni di italiani che ci hanno votato», sono frasi ricorrenti e recitate con innegabile sincerità d’accenti.
Ma non si sfugge alla sensazione che, mentre i politici sono tornati a dinamiche di realistico professionismo, gli elettori se ne distanziano; l’adrenalina da schieramento l’hanno sperimentata nei mesi preelettorali e ora preferiscono un po’ di distaccato «stare a guardare». Tanto più che il principale compito di oggi non è la crescita del consenso collettivo e la gestione delle onde di opinione, ma il controllo tecnico e politico degli esiti di un nuovo ciclo del governare.
Del resto la mitica «base» non sembra avere molto da esprimere sul cosa e come governare, visto che aveva avallato programmi elettorali tanto roboanti quanto di improbabile attuazione; ma visto soprattutto che essa è senza parole, essendo figlia di processi di comunicazione che l’hanno resa sempre più generica, emotiva, individualista, lontana da quella cultura della partecipazione sociale e politica che è essenziale per esprimere una domanda di governo di una qualche complessità.
Forse è onesto ammettere una verità per molti spiacevole: l’opinione pubblica italiana non può supportare nessun impegno a ben governare perché è di fatto prigioniera di una comunicazione (giornalistica, televisiva, dei social media) che vive di cronaca, di eventi tanto impressivi quanto transeunti, di emozioni fibrillanti. Ed è questo primato della cronaca che sta distruggendo ogni capacità di fare cultura e classe dirigente di governo.
Avviene così che anche i più ambiziosi aspiranti al cancellierato deleghino a qualche volenteroso professore l’immaginazione pro-
Distacco I politici sono tornati a dinamiche di realistico professionismo
Inaridimento La dialettica sociale è sempre più restia a ragionare di complessità
grammatica e si gettino in un personalizzato protagonismo di cronaca: alzando i calici a Vinitaly, girovagando in fiere e saloni espositivi, salendo a piedi la Dataria con 30-40 persone di scorta, moltiplicando ovunque il narcisistico esercizio del selfie. Alimentano il flusso di eventi e cronaca, non ricordando, con Baudrillard, che quel flusso scava la fossa in cui il giorno dopo tutto sarà seppellito da altri eventi e altre cronache. Il primato spesso brutale della cronaca quotidiana rischia di impoverire non solo il dibattito politico, ma la stessa dialettica sociale, sempre più restia a ragionare di complessità e di lunga durata, le due variabili fondamentali del governare.