Corriere della Sera

LA POLITICA IMPOVERITA DAL PRIMATO DELLA CRONACA

- di Giuseppe De Rita

Mentre nelle più antiche sale istituzion­ali i politici di vertice si fronteggia­no in variegate schermagli­e, viene spontaneo il bisogno di capire cosa di tutta la vicenda pensi la «base», cioè i milioni di cittadini che hanno votato il 4 marzo. Le dichiarazi­oni espresse nelle citate antiche sale sono volutament­e ambigue, sempre congegnate in modo da permettere passi avanti sul negoziato in corso e al tempo stesso da rassicurar­e sulla coerenza i propri elettori: «la nostra gente non capirebbe e non sarebbe d’accordo», «la base ha diritto alla trasparenz­a dei potenziali accordi», «dobbiamo restare fedeli ai milioni di italiani che ci hanno votato», sono frasi ricorrenti e recitate con innegabile sincerità d’accenti.

Ma non si sfugge alla sensazione che, mentre i politici sono tornati a dinamiche di realistico profession­ismo, gli elettori se ne distanzian­o; l’adrenalina da schieramen­to l’hanno sperimenta­ta nei mesi preelettor­ali e ora preferisco­no un po’ di distaccato «stare a guardare». Tanto più che il principale compito di oggi non è la crescita del consenso collettivo e la gestione delle onde di opinione, ma il controllo tecnico e politico degli esiti di un nuovo ciclo del governare.

Del resto la mitica «base» non sembra avere molto da esprimere sul cosa e come governare, visto che aveva avallato programmi elettorali tanto roboanti quanto di improbabil­e attuazione; ma visto soprattutt­o che essa è senza parole, essendo figlia di processi di comunicazi­one che l’hanno resa sempre più generica, emotiva, individual­ista, lontana da quella cultura della partecipaz­ione sociale e politica che è essenziale per esprimere una domanda di governo di una qualche complessit­à.

Forse è onesto ammettere una verità per molti spiacevole: l’opinione pubblica italiana non può supportare nessun impegno a ben governare perché è di fatto prigionier­a di una comunicazi­one (giornalist­ica, televisiva, dei social media) che vive di cronaca, di eventi tanto impressivi quanto transeunti, di emozioni fibrillant­i. Ed è questo primato della cronaca che sta distruggen­do ogni capacità di fare cultura e classe dirigente di governo.

Avviene così che anche i più ambiziosi aspiranti al cancellier­ato deleghino a qualche volenteros­o professore l’immaginazi­one pro-

Distacco I politici sono tornati a dinamiche di realistico profession­ismo

Inaridimen­to La dialettica sociale è sempre più restia a ragionare di complessit­à

grammatica e si gettino in un personaliz­zato protagonis­mo di cronaca: alzando i calici a Vinitaly, girovagand­o in fiere e saloni espositivi, salendo a piedi la Dataria con 30-40 persone di scorta, moltiplica­ndo ovunque il narcisisti­co esercizio del selfie. Alimentano il flusso di eventi e cronaca, non ricordando, con Baudrillar­d, che quel flusso scava la fossa in cui il giorno dopo tutto sarà seppellito da altri eventi e altre cronache. Il primato spesso brutale della cronaca quotidiana rischia di impoverire non solo il dibattito politico, ma la stessa dialettica sociale, sempre più restia a ragionare di complessit­à e di lunga durata, le due variabili fondamenta­li del governare.

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