L’ITALIA PUÒ NON PIACERCI PERÒ ORMAI ESISTE
Caro Aldo, nel suo articolo su Io donna Lei afferma: «In ogni famiglia italiana c’è qualcuno che ha contribuito a fare la storia del Paese». Vorrei aggiungere una postilla: perché non ci sono più questi italiani, ma tanti individualismi? Solo colpa dei tempi moderni? Non sarà che «diritti per tutti» hanno generato egoismo prima, e ambizioni irrealizzabili poi?
Cara Costanza,
Ieri mattina ho visto la sua mail dopo aver letto, come faccio sempre, la rubrica di Mattia Feltri sulla prima pagina della Stampa. Feltri, citando Prezzolini, scrive in sostanza che l’italia non esiste; esistono gli italiani. «L’italia non esiste» è il titolo di un pamphlet di Fabrizio Rondolino di dieci anni fa. Il libro di Prezzolini si intitola «L’italia finisce». L’autore lo scrisse in inglese, nel suo esilio americano, e lo pubblicò nel 1948. Per paradosso del destino, quello fu l’anno simbolo della rinascita italiana: nel 1948 entra in vigore la Costituzione, gli elettori fanno la grande scelta di libertà del 18 aprile, dopo l’attentato a Togliatti fallisce il sogno insurrezionale e rivoluzionario dei comunisti, Bartali vince il suo secondo Tour de France, arrivano gli aiuti del piano Marshall. Con il senno del poi, possiamo tranquillamente affermare che Prezzolini si sbagliava; l’italia non finiva; ricominciava.
Certo, Prezzolini aveva anche una parte di ragione. Intuiva che il fallimento del nazionalismo fascista non sarebbe rimasto senza conseguenze. Per decenni la parola patria diventò impronunciabile. La Dc si appoggiava al Vaticano e all’america, il Pci all’unione Sovietica: l’italia era un Paese a sovranità limitata. Poi per vent’anni la Lega, prima di riscoprirsi sovranista e lepenista, ha lavorato per mettere gli italiani gli uni contro gli altri. Eppure gli italiani si assomigliano tra loro più di quel che pensino. Ormai il carattere nazionale esiste. Può non piacerci; ma esiste. La tv ha unificato la nostra lingua. La Rete, nell’apparente ebbrezza del dissenso, ha appiattito il nostro modo di pensare. Per il senso dello Stato bisognerà attendere altri secoli; ma la patria per noi è importante, soprattutto quando la storia nazionale coincide con la storia delle nostre famiglie. Gli italiani del 1948, cara Costanza, non erano meno individualisti di quelli di oggi. Dietro il grande slancio della ricostruzione non c’erano il senso del bene comune e i valori collettivi; c’era la volontà di lasciarsi alle spalle la miseria e la fame. Gli italiani di oggi non sono peggiori; sono soltanto più frustrati, e talora più pigri. Hanno perso — non tutti, ma molti — la capacità di soffrire. E, cosa ancora più preoccupante, di rischiare.