La nuova agenda di Tim: il nodo «golden power» e il riassetto della rete
La gestione (e i conflitti) di Vivendi ha lasciato un’eredita non proprio leggera in Tim. Eredità di cui gli uomini scelti da Elliott per dare una svolta al gruppo telefonico hanno consapevolezza, ma con cui inizieranno solo da domani a fare concretamente i conti. La novità più rilevante, considerata da Elliott di indubbio vantaggio, è la fine della «direzione e coordinamento» di Tim da parte di Vivendi, che dovrebbe far venire meno una serie di obblighi, inclusi quelli imposti dalle regole sul «golden power», rendendo più fluida le gestione del piano di Amos Genish.
Purtroppo il nuovo vertice guidato da Fulvio Conti non potrà evitare la sanzione per la mancata notifica da parte di Vivendi del cambio di controllo in Tim, già confermata dal ministro uscente dello Sviluppo, Carlo Calenda, che entro la metà della settimana vorrebbe chiudere la pratica. La sanzione sarà in capo a Tim e dovrebbe aggirarsi attorno a 300 milioni, forse qualcosa in meno se il Comitato per il golden power applicherà il minimo previsto, con tutti i benefici. Il Comitato istituito a Palazzo Chigi rappresenta il primo fronte nella nuova agenda del gruppo telefonico. Conti, che domani sarà nominato presidente di Tim, ha chiesto di non avere deleghe, e quindi di restare indipendente, per potersi confrontare senza conflitti con il nuovo governo e con il comitato e cercare di rimuovere subito i vincoli che sono stati imposti al gruppo per il controllo esercitato da Vivendi. Anche da questo confronto dipende l’assegnazione delle deleghe. Non quelle operative, che andranno a Genish, ma quelle strategiche su security, Sparkle e per gli adempimenti imposti dal golden power. Il nodo deve essere sciolto entro questa sera se si vuole consentire domani al board di completare l’assetto di governance. Ma non si può escludere un supplemento di riflessione. Anche perché chi avrà le deleghe perderà per forza di cose lo status di indipendente, e quindi Elliott vuole ponderare bene la scelta.
Così come vuole capire bene qual è il percorso migliore per portare la rete fuori da Tim. Il fondo Usa ha dato fiducia a Genish e al piano di societarizzazione dell’infrastruttura — già notificato all’agcom che martedì lo esaminerà — accantonando l’idea di venderne subito una quota. Ma solo per il momento. L’idea di fondo, dietro alla quale il mercato ha letto l’interesse della Cassa depositi e prestiti per la partita, resta sempre quella di mettere la rete di Tim a fattor comune con Open Fiber, di cui la Cdp ha il 50%, per accelerare la penetrazione della banda larga senza disperdere risorse e senza duplicazioni. La societarizzazione è il primo passo. Serviranno dai 12 ai 18 mesi per capire fino dove si potrà spingere il riassetto dell’infrastruttura.
Con il venir meno della «direzione e coordinamento» da parte del gruppo francese dovrebbe cadere anche l’obbligo per Tim di vendere Persidera, la controllata nella tv digitale terrestre, la cui cessione era stata concordata da Vivendi con la Ue per superare il conflitto nato con la tentata scalata a Mediaset. La rimozione dell’obbligo di vendita non è tuttavia automatica. Bruxelles ha avviato una procedura e i legali di Tim dovranno avviare un confronto con la commissione Antitrust per capire come chiudere il dossier e in quali tempi.
Il confronto Conti vuole aprire subito il confronto sui vincoli imposti a Tim dal governo