Levi: editori, sbagliato dividersi L’indipendenza non è un’esclusiva
Il presidente dell’aie sulla scissione decisa da Adei. «Sono addolorato, lavorerò per superare i contrasti»
Se, nel mondo del libro, una frattura si ricompone — tornano i grandi editori al Salone di Torino — , un’altra si accentua. Domani nasce Adei (Associazione degli editori indipendenti) che riunirà tre rappresentanze di piccoli e medi editori: gli Amici del Salone, Odei (Osservatorio degli editori indipendenti, che organizza Bookpride) e Fidare (Federazione italiana degli editori indipendenti). Il nuovo organismo si forma con l’obiettivo, tra gli altri, di supportare la manifestazione torinese in cerca di una nuova architettura e di essere un interlocutore a livello istituzionale. Di fatto un’alternativa all’associazione italiana editori. Ricardo Franco Levi, che dell’aie è presidente, lo considera «un errore».
Perché un errore?
«La divisione nella rappresentanza degli interessi di una categoria lo è sempre. Indebolisce e non rafforza. Saremo impegnati, e lo sarò io personalmente, perché si ricomponga e tutti ritornino nella casa comune degli editori italiani, l’aie».
La sua presidenza è stata caratterizzata da un atteggiamento di distensione e di dialogo, dopo i toni aspri della scissione del 2016. La considera una sconfitta o se l’aspettava?
«Mi addolora. Non immaginavo che si arrivasse a questo punto, quindi sì mi ha sorpreso. Se i piccoli e medi editori, o anche i più conosciuti, che hanno dato o daranno vita alla nuova associazione, scegliessero di impegnarsi e partecipare alla vita dell’aie potrebbero fare sentire ancora di più le loro ragioni».
Perché si dovrebbe ricomporre la scissione?
«Non parlo dei 150 anni di storia dell’aie, che pure contano. L’associazione ha i piedi ben ancorati nella realtà e lo sguardo attento ai problemi che ci stanno di fronte. Sul complesso del fatturato rappresenta qualcosa che sta tra l’85 e il 90% del totale. Riunisce tutta l’editoria scolastica, universitaria, professionale. È l’avamposto delle battaglie in difesa di tutti gli editori su scala internazionale, come il diritto d’autore. Ha grande rappresentanza e larga capacità di rispondere alle esigenze di grandi e piccoli, dalla consulenza legale alle analisi dell’ufficio studi. Da più di 15 anni organizza Più libri Più liberi, unica fiera al mondo riservata a questo segmento».
L’adei rivendica, fin dal nome, l’indipendenza come valore.
«Non esiste la differenza tra indipendenti e no. Di certo non ha a che fare con le dimensioni dell’impresa. L’indipendenza sta nella capacità di scegliere i libri da pubblicare e di difendere le opinioni espresse nei propri libri. Tutti gli editori veri sono indipendenti. Non è una esclusiva di alcuno».
La divisione tra grandi e piccoli-medi però c’è. In Aie ci sono piccoli editori, mentre non ci saranno grandi editori in Adei.
«È vero, ma i piccoli editori sono presenti in tutti i livelli di governo dell’aie e le loro ragioni sono ben presenti. Come editori siamo portatori di un grande privilegio: il nostro interesse particolare corrisponde all’interesse generale. Le prospettive, le speranze per la crescita nel tempo del mercato del libro — non parlo della quota del singolo editore, ma del mercato nel suo complesso — , sono affidate ad un aumento della lettura. Ma la lettura è anche il segno di un aumento del livello di istruzione e di conoscenza dell’intera società, della qualità della democrazia e delle potenzialità di crescita dell’economia. Per questo, lettura, scuola, scuola, scuola. Questo è il faro che ci guida. Per questo siamo la casa comune di tutti gli editori e un pezzo importante della società. Non esiste distinzione tra grandi e piccoli in questa prospettiva».
Però il problema è proprio quello di non sentirsi rappresentati dall’aie, tema che è esploso con la decisione dell’aie di lasciare il Salone per la fiera di Milano.
«Posso dire che saremo a Torino, anzi che torneremo a Torino con un nostro stand, scelta che io ho sostenuto in modo molto forte. Così come ho condiviso, appoggiato e accolto con favore la decisione dei grandi editori di tornare al Lingotto».
Il ritorno dei grandi a Torino fa temere che l’aie possa volere tornare a giocare un ruolo nel Salone, anche in ragione delle difficoltà finanziarie che sta attraversando.
«Abbiamo tutti detto, e da tempo, che di Milano e Torino avremmo parlato dopo la conclusione delle due fiere, Tempo di Libri e Salone di Torino. Aie ha da sola la responsabilità di fare la fiera di Roma e, insieme a Fiera Milano, socia al 51 per cento, quella di Milano, Tempo di Libri, che quest’anno è andata molto bene».
Ci sono anche altri temi che dividono. Per esempio la legge, che porta il suo nome, che stabilisce lo sconto massimo al 15 per cento, limite che spesso viene aggirato. Molti editori indipendenti guardano con favore al modello francese che prevede un massimo di sconto al 5 per cento.
«Rispetto a tutto questo, dentro l’aie stiamo riflettendo in modo aperto e approfondito. Oggi siamo di fronte a una politica degli sconti che è rispettosa dello spirito della legge in modo molto lasco, al punto che ormai si vedono libri al 50 per cento grazie a operazioni che riescono formalmente a rispettare la lettera della legge, ma non lo spirito. Tornare a una osservanza stretta, in particolare per quel che riguarda la promozione, già sarebbe un passo in avanti importante, sopratutto per le librerie. Il 5 per cento in Francia funziona molto bene ma se lo applicassimo da noi, senza adeguata preparazione, potrebbero esserci contraccolpi pesanti sul mercato. Come reagirebbero i consumatori? Si dovrebbe lavorare a questa possibile riduzione degli sconti quando potrà essere accompagnata da politiche vere, come la defiscalizzazione. Un passaggio che può essere governato meglio se il mondo dell’editoria non è diviso».
Poi c’è il tema dei finanziamenti pubblici.
Abbiamo tutti lo stesso obiettivo: aumentare i lettori. Per questo non esiste distinzione tra grandi e piccoli
«L’ipotesi che l’aie come associazione sia sostenuta dal settore pubblico non esiste. I finanziamenti che riceviamo — circa 450 mila euro lo scorso anno, con il ministero della Cultura e le Regioni del Lazio e del Piemonte come maggiori contributori — sono interamente destinati a progetti a favore degli editori, in particolare a sostenere la partecipazione a fiere all’estero, a Teheran come a Francoforte. La singola manifestazione alla quale sono stati diretti più fondi pubblici, 120 mila euro nel 2017, è stata Più Libri Più liberi, la fiera della piccola e media editoria. Questo dovrebbe dire qualcosa».