AUGURI AL SIGNORE DEI LIBRI
Gli 80 anni di Ernesto Ferrero
D ifficile trovare, concentrati in una sola persona e in soli 80 anni — tanti quanti ne compie oggi Ernesto Ferrero —, una tale varietà di mestieri al servizio di un unico oggetto: il libro. Perché non è detto che cominciando in un ufficio stampa si possa poi dirigere una casa editrice, diventandone anche il narratore straordinario; non è detto che chi scrive romanzi sia anche la persona giusta a gestire la più grande fiera italiana del libro, chi è un magister del risvolto sia anche brillante autore di studi critici, chi è stato amico di grandi autori come Calvino ne sappia poi raccontare la vita, chi ha scoperto tanti esordienti sia capace anche di tradurre Céline e Flaubert, chi giovanissimo ha accompagnato Primo Levi al Campiello nel 1963 riesca a vincere, quasi 40 anni dopo, il Premio Strega. E si potrebbe continuare con lo scrittore per ragazzi, con il recensore della «Stampa», eccetera. Senza dimenticare che gli anni di Ernesto dentro, a fianco, in mezzo e in cima all’editoria (e alle sue tempeste) sono stati anni di rivoluzione. Un protagonista e testimone critico come lo sono gli spiriti più intelligenti.
Vale per Ferrero la frase di Stendhal che piaceva tanto a un altro personaggio storico dell’einaudi, Roberto Cerati: «La felicità è fare della passione il proprio mestiere». È stato un einaudiano perfetto anche dopo l’uscita dall’einaudi (1990), «soldato sabaudo» (autodefinizione), colto, ironico, capace di trattare con Bobbio o con Contini, ma anche di cogliere le qualità del giovane Del Giudice. Spesso regista diplomatico delle riunioni del mercoledì, dove si consumava il rito dei duelli, dei rancori, delle provocazioni, delle congiure Ernesto vere e presunte. Un’umanità Ferrero (1938) geniale e stramba raccontata
da Ferrero, con raro talento di ritrattista tagliente e insieme partecipe, nel più avvincente dei «romanzi familiari»: I migliori anni della nostra vita (Feltrinelli 2005) e in quella sorta di postilla che è Rhêmes o della felicità (Liaison 2008). I «ritiri spirituali» estivi sono rimasti nel ricordo di Ferrero «l’icona di una felicità irraggiungibile e non più ripetibile». Pensare e pubblicare libri che, spesso a dispetto del mercato, dovevano cambiare la percezione del mondo e contribuire alla formazione della classe dirigente italiana. L’ultima pagina di quel breve racconto su Rhêmes è una prova (felice) dello stile elegante di Ferrero, qui terso e calviniano altrove dotato di notevoli escursioni espressive (Gadda è tra i suoi preferiti): come in N., il romanzo che ricostruisce i giorni di Napoleone all’elba attraverso il diario del suo bibliotecario, o in Disegnare il vento, sul vecchio, amato Salgari.
Felicità è un Leitmotiv di Ferrero. In quella pagina su Rhêmes, ricorda quando, in via Biancamano, «senza nemmeno togliersi la pelliccetta di marmotta» si sedette alla sua scrivania una ragazza di Pavia che stava preparando una tesi su Pavese. Fu notata dall’editore, mandata alla Fiera di Bologna, poi in mare aperto a Francoforte, infine assunta. Era Carla, futura sposa di Ernesto. Regalo di nozze del padre-padrone: una pianta di limone, un gelsomino, una forsizia, una camelia, una rosa. Per Einaudi, c’era qualcosa che accomuna piante e libri: per vederne i frutti bisogna avere pazienza. Lo stile non è acqua, vale anche (soprattutto) nel mondo dei libri, che ci si trovi a scrivere o a dirigere la Boringhieri, la Garzanti, la Mondadori, come è capitato a Ferrero. Il maestro di stile dell’editoria ha diretto anche il Salone di Torino dal 1998 al 2016, facendone uno dei maggiori appuntamenti internazionali, sempre senza polemiche e con la fermezza di chi non aveva nulla da rimproverarsi. Auguri, caro amico. Con gratitudine per la felicità trasmessa.