Corriere della Sera

La giusta manutenzio­ne del nostro «motore»

Quando misurare il colesterol­o? Ed entro che livelli mantenerlo? Servono le Tac alle coronarie per scongiurar­e un infarto? Quali altri esami fare? Tutto dipende da dove si parte, dal proprio profilo di rischio personale. Con una certezza: alimentazi­one ed

- Elena Meli

E voi, al anni Ma cuore? per se l’avete compagnia: dovreste non la testa, Se fatto vi è avete neppure averci siete il pochissimi «tagliando» almeno in pensato. passato cospicua 45 si sottopongo­no entrano dal negli cardiologo a «anta», un vero quando come check-up hanno il spiegato recente gli congresso esperti durante «Conoscere e curare il cuore» del Centro per la Lotta contro l’infarto - Fondazione Onlus. Eppure i test da fare non sono molti e per lo più non sono neanche troppo costosi. Anzi, il primo passo neppure prevede esami: bisogna iniziare infatti con un bel dialogo con il medico di famiglia, in cui verificare i fattori di rischio cardiovasc­olare classici, come la presenza in famiglia di casi di malattie a cuore e vasi, eventuali altre patologie come il diabete di tipo 2, il livello di attività fisica, l’abitudine al fumo, il consumo di alcol e una valutazion­e delle abitudini alimentari. Già così è possibile farsi un’idea del livello di pericolo per il cuore. Poi, certo, è bene fare analisi del sangue per valutare glicemia, trigliceri­di, valori di colesterol­o totale e di colesterol­o «buono» (Hdl) e «cattivo» (Ldl).

«Sarebbe bene sottoporsi al test almeno una volta già intorno ai trent’anni, se non pri- Bancomhear­t è una tessera su cui sono caricati tutti gli esami,i fattori di rischio, le cure in corso, accessibil­e da qualsiasi computer. In caso di infarto o altri problemi sarà a disposizio­ne una cartella clinica esauriente dedicata al cuore. ma, perché esistono anche forme di ipercolest­erolemia familiare che altrimenti potrebbero sfuggire visto che non danno sintomi — spiega Francesco Prati, presidente del Centro per la Lotta contro l’infarto — Fondazione Onlus —. In ogni caso occorre valutare i parametri ematici almeno intorno ai 45 anni, ripetendo i test ogni due anni se tutto è nella norma. Intorno ai cinquant’anni sarebbe opportuna qualche indagine in più a partire dall’elettrocar­diogramma, per valutare l’attività cardiaca, associato a un’ecografia delle carotidi: si tratta di un test per nulla invasivo che tuttavia può dirci molto dello stato delle arterie, dando indicazion­i sull’eventuale presenza di placche ateroscler­otiche. Sono queste, infatti, che aumentano la probabilit­à di infarto e oggi sappiamo che esistono anche persone con pochi fattori di rischio cardiovasc­olare classici, dalla scarsa attività fisica alla familiarit­à, con, però, un’ateroscler­osi consistent­e: si tratta di soggetti ad alto rischio, che non individuia­mo se ci fermiamo alle analisi standard. Anche la sola prova da sforzo (ovvero l’elettrocar­diogramma eseguito mentre si pedala su una cyclette o si cammina/corre su un tapis roulant, ndr) potrebbe non bastare, perché placche molto piccole non danno effetti evidenti nel test ma col tempo possono provocare guai».

Cercare l’ateroscler­osi nascosta, secondo il cardiologo, è il passo in più che oggi sarebbe opportuno fare perché è ormai chiaro che si tratta del fattore di rischio di maggiore impatto: per riuscirci, oltre all’ecografia delle carotidi, è utile il Calcium score index, in pratica una Tac coronarica per dosare il calcio presente nelle arterie attorno al cuore.

«È un esame che costa relativame­nte poco e non comporta un’esposizion­e eccessiva ai raggi, perché si tratta di una Tac modificata per cui ne bastano dosi minime — dice Prati —. Il calcio nelle coronarie è un indice direttamen­te correlato al grado di ateroscler­osi, se troviamo le arterie “pulite” la probabilit­à di un infarto nei successivi dieci anni è bassissima. Se invece il calcio è accumulato in abbondanza, significa che i vasi sono ad alto rischio ed è necessaria una prevenzion­e più incisiva: così, anche se la persona non ha ancora avuto un infarto, può essere consigliab­ile agire quasi come se ci fosse stato».

A partire dal cambiament­o dello stile di vita fino a eventuali farmaci, in questi casi è meglio non aspettare; solo il cardiologo tuttavia può giudicare, sulla base dei risultati di tutti gli altri test meno invasivi del “tagliando cardiaco”, se ci sia la necessità di una Tac coronarica o meno, visto che si tratta pur sempre di un esame più costoso di elettrocar­diogramma, prove da sforzo ed ecografie alle carotidi e consideran­do soprattutt­o che espone a raggi, per quanto a bassa dose.

C’è da dire, poi, che la vera prevenzion­e consiste anche nel saper riconoscer­e i segnali di un infarto, come sottolinea Prati: «Quasi sempre l’evento drammatico, che porta in ospedale o addirittur­a provoca la morte della vittima (tuttora un paziente con infarto su tre muore prima di arrivare a un Pronto soccorso, ndr), non è la prima, improvvisa manifestaz­ione del problema cardiaco. In genere c’è qualche avvisaglia nei giorni precedenti, per esempio dolori che vengono scambiati per problemi reumatici o gastrici: tanti non vogliono proprio pensare che possa trattarsi del cuore, ma se si rivolgesse­ro al medico potremmo individuar­e molti casi nella fase in cui l’arteria incriminat­a non è ancora del tutto bloccata, ma sta per esserlo. Quando un dolore toracico dura una ventina di minuti ed è bruciante, come se avessimo una morsa o un peso sul petto, anche se poi passa è necessario farsi visitare quanto prima perché è un grosso campanello d’allarme», conclude Prati.

Per iniziare Il primo passo non prevede esami. Bisogna iniziare dal dialogo con il medico di famiglia, in cui verificare i fattori di rischio

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