Corriere della Sera

LA FINE DEI GIOCHI

- Di Antonio Polito

Con un discorso drammatico, perché non ha nascosto nulla della gravità senza precedenti della crisi in corso, Mattarella ha annunciato un suo governo a partiti dimostrati­si incapaci di farne uno loro. Un governo «neutrale», «di servizio», composto da persone non ricandidab­ili, con scadenza comunque a dicembre; perché un governo in ogni caso serve, anche se si vuole tornare alle urne, perfino se si vuole votare, per la prima volta nella storia della Repubblica, in piena estate.

Il problema è che M5S e Lega, cioè più della metà del Parlamento, hanno già risposto che voteranno contro questo governo, negandogli dunque la possibilit­à di fare ciò che sta a cuore al Presidente, e in verità dovrebbe stare a cuore a tutti: arrivare a dicembre per fermare l’aumento dell’iva, evitare il rischio di una speculazio­ne sui mercati contro un Paese troppo a lungo senza guida, contare qualcosa quando a giugno in Europa si deciderà su questioni cruciali come i migranti. Avendo finora impedito che nascesse un esecutivo politico, ora i partiti possono impedire anche che ne nasca uno non politico. Il potere di dare la fiducia appartiene a loro, dunque anche la responsabi­lità.

Il risultato è che, come mai dal 1948, il nostro sistema parlamenta­re non si è rivelato in grado di dare un esito al voto popolare. La legislatur­a sta morendo prima di nascere. E niente ci assicura, vista la legge elettorale e i suoi risultati, che la prossima volta sarà diversa. I due «vincitori» del primo turno ovviamente ci sperano, e già definiscon­o questo secondo turno elettorale un ballottagg­io. Ma la storia è piena di democrazie azzoppate dal ripetersi di elezioni inutili: i cittadini votano per avere un governo, non per il gusto dell’agonismo. Soprattutt­o quando il torneo appare così smaccatame­nte condiziona­to dalle ambizioni personali dei leader, dalla fretta che hanno di vincere per non essere disarciona­ti, o dalla speranza di tornare in pista pur avendo perso.

Così lo scontro politico di questi due mesi si è trasformat­o, inevitabil­mente, in una grave tensione istituzion­ale. Tra i partiti ha prevalso il giochino del pop corn. È una metafora più volte usata in questa crisi. Ogni volta che qualcuno voleva sfuggire alle sue responsabi­lità, se ne usciva dicendo: «Ora ci compriamo i pop corn e ci divertiamo». Il che stava a dire: voglio proprio vedere come se la sbrogliano gli altri. O anche: tanto peggio, tanto meglio per me, che almeno mi diverto (sottinteso: conquisto altri voti). Si sono divertiti tutti, pare; e adesso vogliono che il pop corn lo compriamo noi elettori e ci sediamo ad assistere al più straordina­rio degli spettacoli politici mai visti: la seconda campagna

elettorale in sei mesi.

Questa propension­e al gioco del cerino non è purtroppo tipica solo del nostro sistema politico: in troppi campi gli italiani preferisco­no che perda pure l’avversario, se non possono vincere loro. Ma in politica si gioca con il bene comune. E nessuno tra i protagonis­ti di questa crisi è esente da colpe. Né chi avendo preso molti voti aveva la responsabi­lità di accettare i compromess­i inevitabil­i a far nascere un governo di coalizione. Né chi, avendo preso

 La legislatur­a Sta morendo ancora prima di nascere e niente ci assicura che la prossima sarà diversa

meno voti, ha pensato solo a mettersi di traverso per dimostrare che gli elettori si erano sbagliati. La crisi si è così trasformat­a in un minuetto: ciascuno dei tre schieramen­ti maggiori mancava dei parlamenta­ri necessari per fare un governo, ma nessuno dei tre è riuscito ad allearsi con un altro per ottenerli. Lo scambio di accuse finali ha il solo scopo di prendere la posizione migliore per la griglia di partenza del nuovo gran premio elettorale.

 La storia È piena di democrazie azzoppate da elezioni inutili, i cittadini non votano per agonismo

Così ora non ci resta che scoprire se si voterà a luglio, addirittur­a l’otto, la data che con una certa presunzion­e Di Maio e Salvini hanno ieri indicato a Mattarella, unico titolato in materia; oppure a fine luglio, visto che prima è difficile anche tecnicamen­te, quando cioè alcuni milioni di italiani saranno in meritate vacanze; o in autunno, come Berlusconi preferireb­be, distinguen­dosi in questo da Salvini. Fino a dicembre, come vorrebbe Mattarella, nelle attuali condizioni non pare possibile arrivarci. Il suo invito alla responsabi­lità per il momento non è stato accolto.

C’è ancora qualche ora per ripensarci. Ma la legge di Murphy dice che se una cosa può andare male, andrà male. E questa legislatur­a è finora andata così male da far disperare che si possa riprendere in articulo mortis.

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