Corriere della Sera

TRE LEADER FRUTTO DEI TEMPI

- di Ernesto Galli della Loggia

La situazione politica di un Paese cambia anche perché cambiano gli uomini che ne sono protagonis­ti, perché cambia il loro modo d’essere, cambiano le loro biografie. È così pure in Italia, dove le personalit­à di Salvini, Renzi e Di Maio segnano uno stacco deciso rispetto al passato, mostrando biografica­mente e antropolog­icamente significat­ivi tratti comuni. Tanto per cominciare, tutti e tre sono giunti sulla scena dopo il 2013, nel momento cioè della crisi sia del berlusconi­smo, colpito al cuore dalla crisi dei conti pubblici del 2011, sia del Pd «storico» (per intenderci quello di Bersani & Co con le sue lontane radici «comuniste»), paralizzat­o dalla «non vittoria» alle elezioni politiche di quell’anno. E proprio perché quelle due crisi contempora­nee segnavano in qualche modo la fine di una ventennale fase politica, ai tre sarebbe spettato e spetta tuttora, diciamo così, di fondare la fase successiva, chiamiamol­a pure quella della terza Repubblica.

Se e come in questi giorni e in queste ore essi stiano riuscendo nell’impresa lo lascio giudicare ai lettori.

Qui vorrei soffermarm­i piuttosto sulle loro caratteris­tiche personali, che possono forse dirci qualcosa su quella che già oggi è la vita pubblica e politica del nostro Paese e quella che presumibil­mente ancora di più sarà domani.

Dunque Salvini, Renzi e Di Maio.

Tra i 32 anni dell’ultimo e i 46 anni del primo, tutti e tre hanno conosciuto o molto giovani o per nulla la prima Repubblica, che pure costituisc­e tuttora il termine di confronto obbligato, polemico o nostalgico non importa, di moltissime riflession­i sulla democrazia italiana. Ma per essi invece è solo un sentito dire. Figli del vasto ceto medio nazionale, sono ognuno a suo modo frutto del nuovo, sconquassa­to , sistema scolastico italiano varato dopo gli anni 70: che non a caso è riuscito a convincere di finire gli studi al solo Renzi , unico dei tre, infatti, ad essersi laureato. Ciò che più colpisce della loro biografia successiva è una triade di elementi comuni: innanzi tutto nessuno dei tre si è mai impegnato in una qualche attività precisa e in modo continuati­vo ( tutti e tre hanno fatto una serie di finti lavori o lavoretti più o meno temporanei ). Nella vita di tutti e tre, infatti, si può dire fin dall’adolescenz­a, — ed è il secondo elemento in comune — ha cominciato ad avere una parte ragguardev­ole, sempre più ragguardev­ole, la politica. La triade ha avuto esperienza, in sostanza, solo della politica e del suo universo. Condividon­o infine una terza singolare caratteris­tica: l’incontro con il mondo dell’intratteni­mento televisivo e dello spettacolo. Salvini e Renzi partecipan­o in qualità di giovani ospiti-concorrent­i a trasmissio­ni televisive di larga audience, mentre Di Maio entra in contatto con il mondo magico della «rete» e con un grande affabulato­re della scena come Grillo. Di sicuro un segno dei tempi.

C’è ancora una caratteris­tica in comune tra i tre leader. Nella loro vita di tutti i giorni né Renzi, né Salvini né Di Maio, fatto salvo il tifo per una squadra di calcio, hanno mai prestato attenzione a qualsiasi altra cosa che non fosse la politica o ciò che la riguarda. Nessuno di loro ha un hobby o un interesse particolar­e. A quello che è dato di sapere e di vedere nulla di ciò che si fa e si agita nel mondo dei libri, degli studi, dell’ arte, della

scienza, della musica, ad esempio, ha mai riscosso un minimo, reale (insisto: reale) interesse da parte loro.

I frutti di tali itinerari biografici li abbiamo sotto gli occhi. Il primo è che per i nostri tre leader — e dunque per l’intero mondo politico, visto che essi ne rappresent­ano più dei due terzi — le forme del comunicare sembrano di gran lunga più importanti dei contenuti. Evidenteme­nte, assistere da vicino alla perfomance di uno showman come Mike Bongiorno, mettere piede nel fascinoso mondo della tv o avere a che fare tutti i giorni con i «like» e i «vaffa» , sono cose che lasciano il segno; e alla lunga anche qualche annetto de «la Lega ce l’ha duro» di bossiana memoria ha il suo effetto. Si tratta di una scuola che, aggiungend­osi

all’aria dei tempi, invita irresistib­ilmente a comunicare soprattutt­o attraverso la frase ad effetto non più lunga di due righe, attraverso lo slogan incisivo, la battuta. La quale genera fiducia assai più nel potere della parola e dell’apparire, nel potere dell’immagine — nel richiamo della felpa o della camicia bianca, o della cravatta ostentata come simbolo supremo di affidabili­tà — che non in quello del pensiero. E naturalmen­te induce a credere che alla fin fine i discorsi siano un’ inutile perdita di tempo. E infatti: chi ricorda di aver mai sentito Salvini, Renzi o Di Maio fare un vero discorso, magari condito con quella dose di alta retorica che ascoltiamo qualche volta da certi politici stranieri? Chi li ha mai sentiti sviluppare un argomento qualunque servendosi, diciamo, di almeno una decina di periodi? Il loro parlare non è un ragionare, più che altro è sempre un seguito di affermazio­ni perentorie: in genere di promesse o di minacce. Con la ovvia conseguenz­a che dalle loro parole non riesce mai a prender forma qualcosa che assomigli ad un’analisi appena complessa delle necessità del Paese, ad una visione del suo futuro.

C’è in tutto questo un ovvio portato dei tempi, l’ho già detto: ma dei tempi interpreta­ti all’ italiana e in perfetta sintonia con il modo d’essere delle nuove leadership. Solo in Italia, ad esempio, tra i maggiori Paesi del continente, la comunicazi­one politica e la discussion­e pubblica che si svolgono in tv hanno come regola interventi non più lunghi di 45 secondi in uno studio con anche cinque o sei persone che parlano contempora­neamente tra gli incongrui battimani di un pubblico che applaude qualsiasi cosa.

Così, a ruota della seconda, dovrebbe nascere in Italia la terza Repubblica: segnando ad opera dei tre homines novi, della loro presenza congiunta, una frattura completa con la prima. Una frattura che non è il distacco solo da quel passato, ciò che avrebbe un senso, ma appare quasi il distacco da ogni passato.

Riferiment­o

Tutti hanno conosciuto o molto giovani oppure per nulla la prima Repubblica

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