Corriere della Sera

L’azzardo dell’instabilit­à

- di Massimo Franco

La corsa al voto riscuote più timori che applausi. Rimane la stella polare di M5S e Lega: un monumento all’impotenza dei partiti, pronti a scaricare sul Paese 65 giorni di stallo.

Col passare delle ore si capisce che un ritorno alle urne a luglio è un azzardo; che tra fine settembre e ottobre si può, con molti rischi; ma anche che un vuoto prolungato di governo potrebbe far rinascere tutti i fantasmi esorcizzat­i dopo il 2011: dalla speculazio­ne finanziari­a a un declassame­nto strategico di fatto in Europa e nella Nato. Anche per questo, forse, il no liquidator­io, al limite della ruvidezza, all’esecutivo «neutrale» additato dal capo dello Stato, Sergio Mattarella, per arrivare almeno a dicembre, è perentorio e insieme sofferto. Si accompagna a manovre con le quali ritornano le ipotesi di accordo scartate in oltre due mesi di trattative. La Lega che chiede a Forza Italia di appoggiare dall’esterno un governo tra Carroccio e Cinque Stelle, i cosiddetti «vincitori» del 4 marzo, cerca di inserire una variabile in extremis. Ma Berlusconi chiude la porta, definendo «irricevibi­le» l’offerta di Giancarlo Giorgetti, alter ego del leader Matteo Salvini. Un voto anticipati­ssimo viene osservato da chi è stato appena eletto come una iattura. E non solo dentro FI o nel Pd, vittime predestina­te di una falcidia radicale in caso di ballottagg­io tra M5S e Carroccio. La prospettiv­a di tornare subito alle urne semina resistenze trasversal­i: non tutti sono sicuri di rientrare in Parlamento. Tanto più se la fine della legislatur­a portasse a un voto «estivo», facendo lievitare l’astensioni­smo, in particolar­e a Nord. Ma anche tra i seguaci di Beppe Grillo la certezza di un grande risultato è accompagna­ta da qualche riserva. Di Maio è considerat­o l’unico capace ancora di tenere uniti deputati e senatori sulla parola d’ordine del «voto quanto prima»: anche a fine giugno, se riescono alcuni incastri imprevisti. Il problema è che succederà se la strategia dovrà fare i conti con la rottura della tregua tra un’italia nel limbo e i mercati finanziari. I segnali di una regression­e riaffioran­o: l’accenno di Grillo a un referendum sull’euro è il più eclatante. Non significa ancora un ripensamen­to del vertice, attestato faticosame­nte su una linea euro-atlantista. Ma se la deriva estremisti­ca riappariss­e e si saldasse con un euroscetti­cismo spinto di Salvini, per chi scommette sulla destabiliz­zazione sarebbe facile vendere l’immagine di un’italia poco affidabile: in Europa e negli Stati Uniti.

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