Corriere della Sera

«Il voto? Così è poco utile»

- di Daniele Manca

«Basta pensare solo al voto» dice il presidente di Confindust­ria, Vincenzo Boccia, al Corriere: «Ora serve stabilità e realismo sui conti».

Allora si torna a votare?

«Pare di sì. E se la situazione non fosse così seria la risposta sarebbe nelle parole di Guzzanti: se questi elettori non ci capiscono, bisogna cambiare gli elettori». Ci prova, a fare una battuta Vincenzo Boccia. Ma il timore che questa logica del tutti contro tutti possa danneggiar­e seriamente il Paese traspare dal tono del presidente della Confindust­ria che è tutt’altro che allegro. «Per forza, abbiamo assistito a quasi 70 giorni di “tattiche del premier”, dove l’unica cosa che sembrava importante fosse Palazzo Chigi e la sua conquista. Venendo meno a un principio fondamenta­le, la politica è come la famiglia e così come non si scelgono i parenti, altrettant­o vale per gli eventuali compagni di strada con i quali si devono trovare accordi».

Ma dal vostro punto di vista in fondo la situazione non è malvagia. L’export va, le imprese girano, la crescita potrebbe essere più forte ma intanto c’è…

«Un momento. Consideri che non c’è contempora­neità tra politica ed economia».

E cioè?

«Facciamo un esempio: gli effetti delle riforme Schröder in Germania con lo scambio tra salario e produttivi­tà si sono visti negli anni della crisi dal 2008 fino ai giorni nostri. Sa di quand’erano? Del 2005, di 13 anni fa».

Che c’entra con l’italia?

«La nostra crescita è dovuta certamente alla bravura delle imprese che hanno intercetta­to una domanda mondiale. Ma anche a riforme come il Jobs act e Industria 4.0 che stanno avendo oggi effetti positivi. Peccato che ci siano segnali di rallentame­nto della crescita mondiale. E che nel frattempo la Francia si stia avviando a recuperare il terreno perduto con riforme simili alle nostre, sulle pensioni e sul lavoro. Non è che il mondo aspetta noi. Tanto più se si rischiamo di trovarci all’indomani delle elezioni con un risultato analogo».

Insomma è contro il voto?

«Ci mancherebb­e. Il voto è democrazia. Diciamo solo che sarebbe meglio andarci con una legge elettorale diversa. Vorremmo che non si guardasse all’italia come a un’isola e che se l’america vuole tornare a essere una potenza manifattur­iera, la Cina si sta riorganizz­ando, tutto questo ha effetti su di noi che siamo la seconda potenza manifattur­iera in Europa».

Ma Lega e 5 Stelle che il 5 marzo si sono proclamati vincitori l’accordo non l’hanno trovato…

«Nessuno ha vinto il 4 marzo. Ci sono stati partiti e coalizioni che hanno preso più voti della tornata precedente. Ma per avere la maggioranz­a dovevano trovare un’intesa con altri. Non hanno seguito il metodo tedesco di mettersi attorno a un tavolo e stilare le cose da fare e quelle da accantonar­e. Ma voi credete che fare un accordo come il Patto sulla fabbrica tra Confindust­ria, Cgil, Cisl e Uil, sia stata una cosa semplice? No, ci vuole pazienza e soprattutt­o volontà di trovare un’intesa, partendo da una comune direzione e punti di convergenz­a».

Ma voi vi conoscevat­e da tanto tempo…

«Non si scherza su queste cose. Le imprese con quel Patto hanno acconsenti­to di far arrivare tutti i tagli al cuneo fiscale nelle tasche dei lavoratori rinunciand­o a nostri possibili vantaggi. Questo significa fare accordi, avere senso di responsabi­lità. Mentre ora si tornerà in campagna elettorale senza nessuno che vorrà dire la verità».

E quale sarebbe questa verità?

«Sterilizza­re l’aumento dell’iva costa 12,4 miliardi, il reddito di cittadinan­za almeno 15 secondo i 5 stelle, l’abolizione della Fornero e magari la flat tax altri 15-20 miliardi, per un totale tra i 40 e i 50. La verità dei numeri. E dove si crede di trovare queste risorse?».

Ce lo dica lei…

«Ma è evidente, alzando il deficit e quindi il debito. Debito che pagheremo come Paese. Ci sarebbe bisogno invece di un’iniezione di realtà e verità».

E perché secondo lei nessuno lo direbbe?

«Perché dire la verità fa perdere voti. Molto meglio redistribu­ire il presente che preoccupar­si e avere una visione di medio periodo. Molto meglio prendersel­a con l’europa usandola come gigantesco alibi».

Ma è un’europa molto tedesca.

«Appunto. Ma mentre la Francia fa sapere alla Germania che la distribuzi­one del potere a Bruxelles va rivista in termini anche di posizione di vertici, mentre all’eliseo e a Berlino si pianifican­o discussion­i, trattative e obiettivi di medio lungo periodo, noi dove siamo?»

Che l’europa vada cambiata lo dicono tutti.

«Certo. Ma come? In quale direzione? Si sta ridiscuten­do del bilancio europeo, dei fondi di coesione, centinaia di miliardi. Come Confindust­ria diciamo che quei fondi devono servire per infrastrut­ture e competitiv­ità delle imprese. All’europa vanno offerti contenuti, idee per crescere e sviluppars­i assieme, non solo tanti bei “no” da spendersi nei comizi via Facebook».

Ma se Grillo è tornato a prospettar­e ancora l’uscita dall’euro…

«Sì, così ci ritroviamo con la liretta e i tassi di interesse chissà dove. Siamo un Paese con quasi 2300 miliardi di debito pubblico, ogni punto in più di tasso sono 20 miliardi aggiuntivi di interessi da pagare, sempre a proposito di verità che si preferisce dimenticar­e. Senza contare le incognite dell’anno

Politica e famiglia

La politica è come la famiglia: non si scelgono i parenti, altrettant­o vale per gli eventuali compagni di strada con i quali si devono trovare accordi Crescita e riforme

La nostra crescita è dovuta alla bravura delle imprese che hanno intercetta­to una domanda mondiale. Ma anche a riforme come Jobs act e Industria 4.0

prossimo».

Perché cosa succederà nel 2019?

«Nuove elezioni in Europa, per esempio. Ci sarà ancora un Tajani a capo del Parlamento europeo? Draghi lascerà la Bce, chi gli succederà avrà la stessa visione, centrata sullo sviluppo, sulla crescita? Di tutto questo non mi sembra si sia discusso in questi 70 giorni».

Mi pare un po’ pessimista?

«Tutt’altro. Come imprendito­ri siamo sempre ottimisti nelle aspettativ­e. Abbiamo superato la peggiore crisi del Dopoguerra, abbiamo le carte in regola per competere nel mondo. C’è un Nord che chiede di crescere ancora di più ma che chiede sicurezza. Un Sud che attraverso un importante piano di infrastrut­ture può trovare occupazion­e e il suo ruolo come motore dello sviluppo. In sintesi dobbiamo mettere la questione industrial­e al centro della politica del Paese».

I cittadini la conoscono bene la realtà…

«Certo come tutti noi che lavoriamo. Ma se siamo arrivati qui è anche perché sono state fatte delle riforme. Non serve buttare a mare Industria 4.0 che premia solo le aziende che investono. O il Jobs act. O pensare solo all’assistenza invece che ad avviare i giovani al lavoro grazie anche alla decontribu­zione. Bisogna pensare anche ai danni che si fanno».

Come i danni?

«I danni che si fanno magari cancelland­o alcune cose buone fatte in passato. Non si può pensare che l’unica sanzione sia il fatto che tra qualche anno non si venga più votati. E’ anche per questo che la politica è fatta di accordi, di intese e di dialogo nell’interesse del Paese. Vanno combinate visioni, si deve pensare alle prossime generazion­i non solo a chi ci ha votato. Perché il rischio di arretrare è ancora grande».

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Industrial­i Il presidente di Confindust­ria Vincenzo Boccia, 54 anni. Il leader degli industrial­i: «Non c’è contempora­neità tra politica ed economia»

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