Il capo di Forza Italia ora sfida l’alleato: sia Matteo a farsi carico di una rottura tra noi
Letta: classe politica? Siamo al degrado delle istituzioni
Altro che pressioni, ieri il Cavaliere è stato al centro di autentiche processioni: dai vertici delle sue aziende ai dirigenti del suo partito, fino al Pd — per una volta unito — tutti gli hanno chiesto di far partire il gabinetto Cinquestelle-lega, in modo da evitare il ritorno immediato alle urne. Per certi versi anche l’atteggiamento di Mattarella — che si è preso del tempo prima di ufficializzare il «governo del presidente» — è stato valutato come un estremo tentativo di agevolare la trattativa.
Per una volta ancora, Arcore è stata la capitale d’italia. Tra l’incontro con Confalonieri e il colloquio con Gianni Letta, il centralino di casa Berlusconi è stato ingolfato dalle telefonate che giungevano da Roma: renziani ortodossi e nostalgici del prodismo si sono messi in attesa al pari di grand commis di Stato ed epigoni democristiani. Ognuno con il proprio consiglio (interessato), ognuno con la propria speranza (coltivata), insieme hanno esortato l’ex premier con l’identico ragionamento: assecondare il disegno di Salvini e Di Maio, lasciarli andare per vederli schiantare, consegnargli l’esercizio del potere e aspettarli al varco delle loro contraddizioni, in attesa di denunciarle al momento opportuno. Ma l’idea di farlo passare per il salvatore della Patria non ha convinto Berlusconi, che più ascoltava quei ragionamenti più si vedeva esposto al sacrificio per risolvere problemi altrui.
Non che il Cavaliere non ne abbia, anzi: stretto nella morsa leghista, rischia la marginalità in questa legislatura o nella prossima, se si dovesse andare subito al voto. I parlamentari di Forza Italia si sentono le vittime sacrificali e si dividono. Ce n’è la prova nelle mille sfumature di azzurro, che sono poi le diverse soluzioni offerte a Berlusconi: chi gli suggeriva di accettare l’appoggio esterno e di prendersi i benefit concessi; chi gli proponeva di astenersi e di rifiutare le prebende; chi di andare all’opposizione senza rompere l’alleanza, come fece a parti inverse la Lega ai tempi di Monti e di Enrico Letta; chi di passare all’opposizione e basta.
Il punto è che Berlusconi non accetta «il governo degli incompetenti» — così l’ha definito — ed è preoccupato per quanto potrebbero fare: «E se mettessero la patrimoniale? E se reintroducessero la tassa di successione?». Ognuno tiene famiglia, anche il Cavaliere. Quindi che sia Salvini a farsi eventualmente carico di rompere l’alleanza, quel «doppiogiochista» che l’ha fatto imbestialire l’altro ieri, quando — dopo essere andati insieme al Colle — «è corso da Di Maio per annunciare il voto a luglio. Anche Mattarella so che si è incazzato». Ma il rischio della marginalità politica resta. Per aggirarlo, Berlusconi ha provato a convincere Salvini a organizzare una lista unica, ricevendo un secco «no» come risposta.
Cambia il mondo. Anche se non è detto che cambi a favore della Lega. Votare in estate, per esempio, potrebbe nuocere a Salvini: l’astensionismo al Nord finirebbe per avvantaggiare i grillini al Sud, e infatti il capogruppo del Carroccio ad Agorà ha ammesso che «il 22 luglio è una data abbastanza rischiosa». E se la minaccia delle urne si rivelasse un’arma spuntata? Per Berlusconi sarebbe però rischioso andare a vedere il gioco. Tutti ieri lo hanno esortato a non provarci. Tutti in processione ad Arcore, com’è accaduto per venticinque anni.
L’interrogativo è se questa possa essere l’ultima volta, che poi è il vero dramma che sta vivendo il Cavaliere, infastidito dalla delegittimazione quotidiana operata da Salvini, dal modo asimmetrico in cui lo tratta rispetto a Di Maio. Ma non c’è tempo per parlare del tempo passato: la clessidra della legislatura si sta svuotando, il Pd si attrezza al voto e la «soluzione alternativa» che sta cercando Gianni Letta non sembra alle viste. Il fatto è che sono cambiati gli interlocutori, è diverso il lessico politico. E il braccio destro di Berlusconi ha espresso il suo giudizio sul nuovo mondo l’altra sera, a un convegno su Andreotti: «Allora si trovavano soluzioni a problemi difficili perché c’era una classe politica. Oggi viviamo una situazione drammatica. Siamo al degrado delle istituzioni».