Il Quirinale oggi convoca il premier «neutrale» Le ragioni del no a Salvini: avrebbe gestito le elezioni
Incontra i calciatori di Milan e Juve, e recupera la metafora sportiva che usò nel discorso d’insediamento, cinque anni fa. Quella «dell’arbitro imparziale che può condurre bene la partita se ha un certo aiuto dalla correttezza e dall’impegno leale dei giocatori». Lui ci ha provato per più di due mesi, a dirigere («senza esser notato», perché così ogni arbitro vorrebbe) la contesa politica per la conquista di Palazzo Chigi, dopo un voto che non ha avuto veri vincitori.
Tutto inutile. Chi era in campo non si è tenuto alle regole del gioco in democrazia all’epoca del proporzionale: l’obbligo di formare alleanze, negoziando insieme i passi indietro necessari, per costituire una maggioranza parlamentare. Ecco il principale errore, ma chiamiamolo pure «scorrettezza» o mancanza di un «impegno leale», con cui ha dovuto fare i conti. Alla fine si è rassegnato a battezzare lui un governo, «neutrale e di servizio». Con la prospettiva di farlo restare in carica fino a dicembre, nella migliore delle ipotesi, o per poche settimane, se non otterrà la fiducia delle Camere. Il futuro premier sarà convocato al Quirinale oggi, in un clima di serpeggianti polemiche e tensioni.
Nel centrodestra, ad esempio, qualcuno recrimina sul «mancato incarico a Salvini», che si era detto sicuro di poter recuperare in corsa i consensi necessari a raggiungere il 51 per cento. Quel qualcuno però non sa che il leader della Lega, nell’ultimo colloquio con il capo dello Stato, aveva preteso un mandato pieno, non un preincarico. Gli è stato negato per due motivi: 1) perché non era in grado di dimostrare alla luce del sole — cioè con nomi e firme, non con manovre sottobanco — di disporre di quella maggioranza; 2) perché, se non avesse trovato i numeri, si sarebbe comunque insediato alla guida dell’esecutivo, portando lui il Paese alle urne, con un indebito vantaggio su tutti gli altri. Del resto, questa è stata la ragione per la quale non si è pensato di far restare al proprio posto Paolo Gentiloni in proroga, in quanto espresso da una coalizione politica divenuta ultraminoritaria nel Parlamento di adesso.
Altri spunti polemici, e sempre dal medesimo fronte, riguardano la presidente del Senato. Come mai non si è optato per un governo istituzionale, da affidare a Elisabetta Alberti Casellati? Su questo capitolo, dallo staff del presidente della Repubblica non trapelano risposte. Sono però intuitive: perché la seconda carica dello Stato ha un’identità politica molto marcata, forse troppo, per gli interlocutori scelti dal centrodestra, ossia il Movimento 5 Stelle. Ragionamento che, a parti invertite, varrebbe pure per Roberto Fico.
Sono soltanto due dimostrazioni del nervosismo entrato in circolo tra coloro che hanno già fatto sapere di non voler sostenere in alcun modo il «governo neutrale» proposto dal Colle: il centrodestra come i pentastellati. Annuncio brutale e poco rispettoso, piovuto pochi minuti dopo che l’altra sera il presidente aveva fatto il suo bilancio davanti ai cronisti. Senza neanche fingere di pensarci un po’ sopra.
Irritante per Mattarella, che pure aveva messo tutto nel conto come «prevedibile». Ieri ha trascorso la giornata con un occhio alle agenzie di stampa, che riferivano del pressing dei salviniani su Berlusconi, «affinché consenta di far partire un esecutivo della Lega con i 5 Stelle» (ipotesi cui al Quirinale non si crede più). E con l’altro occhio al foglio dove ha scritto la rosa di nomi per la premiership e per i ministri del «suo» governo. Ancora poche ore e sapremo tutto.
Il criterio
La scelta di non dare l’incarico a Casellati o Fico per le identità politiche marcate