Corriere della Sera

Il Quirinale oggi convoca il premier «neutrale» Le ragioni del no a Salvini: avrebbe gestito le elezioni

- Di Marzio Breda

Incontra i calciatori di Milan e Juve, e recupera la metafora sportiva che usò nel discorso d’insediamen­to, cinque anni fa. Quella «dell’arbitro imparziale che può condurre bene la partita se ha un certo aiuto dalla correttezz­a e dall’impegno leale dei giocatori». Lui ci ha provato per più di due mesi, a dirigere («senza esser notato», perché così ogni arbitro vorrebbe) la contesa politica per la conquista di Palazzo Chigi, dopo un voto che non ha avuto veri vincitori.

Tutto inutile. Chi era in campo non si è tenuto alle regole del gioco in democrazia all’epoca del proporzion­ale: l’obbligo di formare alleanze, negoziando insieme i passi indietro necessari, per costituire una maggioranz­a parlamenta­re. Ecco il principale errore, ma chiamiamol­o pure «scorrettez­za» o mancanza di un «impegno leale», con cui ha dovuto fare i conti. Alla fine si è rassegnato a battezzare lui un governo, «neutrale e di servizio». Con la prospettiv­a di farlo restare in carica fino a dicembre, nella migliore delle ipotesi, o per poche settimane, se non otterrà la fiducia delle Camere. Il futuro premier sarà convocato al Quirinale oggi, in un clima di serpeggian­ti polemiche e tensioni.

Nel centrodest­ra, ad esempio, qualcuno recrimina sul «mancato incarico a Salvini», che si era detto sicuro di poter recuperare in corsa i consensi necessari a raggiunger­e il 51 per cento. Quel qualcuno però non sa che il leader della Lega, nell’ultimo colloquio con il capo dello Stato, aveva preteso un mandato pieno, non un preincaric­o. Gli è stato negato per due motivi: 1) perché non era in grado di dimostrare alla luce del sole — cioè con nomi e firme, non con manovre sottobanco — di disporre di quella maggioranz­a; 2) perché, se non avesse trovato i numeri, si sarebbe comunque insediato alla guida dell’esecutivo, portando lui il Paese alle urne, con un indebito vantaggio su tutti gli altri. Del resto, questa è stata la ragione per la quale non si è pensato di far restare al proprio posto Paolo Gentiloni in proroga, in quanto espresso da una coalizione politica divenuta ultraminor­itaria nel Parlamento di adesso.

Altri spunti polemici, e sempre dal medesimo fronte, riguardano la presidente del Senato. Come mai non si è optato per un governo istituzion­ale, da affidare a Elisabetta Alberti Casellati? Su questo capitolo, dallo staff del presidente della Repubblica non trapelano risposte. Sono però intuitive: perché la seconda carica dello Stato ha un’identità politica molto marcata, forse troppo, per gli interlocut­ori scelti dal centrodest­ra, ossia il Movimento 5 Stelle. Ragionamen­to che, a parti invertite, varrebbe pure per Roberto Fico.

Sono soltanto due dimostrazi­oni del nervosismo entrato in circolo tra coloro che hanno già fatto sapere di non voler sostenere in alcun modo il «governo neutrale» proposto dal Colle: il centrodest­ra come i pentastell­ati. Annuncio brutale e poco rispettoso, piovuto pochi minuti dopo che l’altra sera il presidente aveva fatto il suo bilancio davanti ai cronisti. Senza neanche fingere di pensarci un po’ sopra.

Irritante per Mattarella, che pure aveva messo tutto nel conto come «prevedibil­e». Ieri ha trascorso la giornata con un occhio alle agenzie di stampa, che riferivano del pressing dei salviniani su Berlusconi, «affinché consenta di far partire un esecutivo della Lega con i 5 Stelle» (ipotesi cui al Quirinale non si crede più). E con l’altro occhio al foglio dove ha scritto la rosa di nomi per la premiershi­p e per i ministri del «suo» governo. Ancora poche ore e sapremo tutto.

Il criterio

La scelta di non dare l’incarico a Casellati o Fico per le identità politiche marcate

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