I FONDI EUROPEI E LA CLEPTOCRAZIA DI VIKTOR ORBÁN
Rieletto ieri premier in Ungheria, dopo Angela Merkel Viktor Orbán è ormai il leader europeo in carica da più anni. Con orgoglio, definisce «democrazia illiberale» il suo sistema politico e a prima vista è anche un gestore oculato dell’economia: da quando è tornato al potere nel 2010 il debito pubblico è sceso e il Paese cresce. Dietro la relativa stabilità si muove però qualcosa che interessa da vicino noi italiani in quanto finanziatori del bilancio europeo. Noi versiamo molto più di quanto riceviamo, l’ungheria l’opposto. Nel 2016 Budapest ha ricevuto trasferimenti netti da Bruxelles per 3,5 miliardi di euro, il 3,2% del Pil. Niente di male: solidarietà a un Paese fragile, e poco importa se quest’ultimo la nega all’italia sui rifugiati. Ma cosa fa Orbán di quei fondi? Nel suo villaggio di 1.600 anime, Felcsut, ora sorge uno stadio da 3.800 posti. Lo ha costruito un amico d’infanzia del premier, Lorinc Meszaros, passato in pochi anni da operaio a un patrimonio da 73 milioni di euro. Nel frattempo il genero di Orbán ha strappato un contratto da 65 milioni per mettere dei lampioni, sempre con fondi Ue. Si stima che i cinque amici di sempre del premier abbiano rastrellato dal 2010 contratti per 2 miliardi. La democrazia illiberale di Orbán è anche una cleptocrazia mantenuta con i nostri soldi. Quanto agli investimenti esteri, la ricetta è semplice: sconti fiscali ai gruppi tedeschi concorrenti di quelli italiani. In Ungheria sui profitti del 2015 Bosch ha versato il 3,6%, Mercedes l’1,6% e Audi zero. Hanno compensato il buco di bilancio le famiglie e i lavoratori ungheresi, con Iva e contributi da record. È intrigante che in Italia ci sia chi ammira questo modello economico. Ma certo un vantaggio lo presenta: con amici come Orbán, chi ha bisogno di nemici?