Corriere della Sera

Mussolini brutale, Togliatti perfido Intellettu­ali d’italia tra due censori

La vasta migrazione dal fascismo al Pci, spesso in buona fede, narrata da Alessandro Masi (Mursia)

- di Pier Luigi Vercesi

Da Mussolini a Togliatti, il passo non fu né breve né indolore per gli intellettu­ali italiani, come vorrebbe invece un radicato luogo comune. I voltagabba­na sono una componente non minoritari­a nella storia politico-culturale del nostro Paese, ma ciò che accadde in quei drammatici anni della storia italiana, dalla caduta del fascismo alla sconfitta elettorale delle sinistre, va rivisto sotto una diversa prospettiv­a. A sparigliar­e le carte ci ha provato, riuscendov­i, Alessandro Masi, storico dell’arte e segretario generale della Società Dante Alighieri, nel suo ultimo libro Idealismo e opportunis­mo della cultura italiana 19431948 (Mursia), con prefazione di Andrea Riccardi.

L’imponente massa di documenti su cui riflettere mostra come la «meglio gioventù» dell’intellighe­nzia italiana, formatasi ai tempi del motto fascista «libro e moschetto», si sia battuta alla ricerca di una verità e del modo in cui rappresent­arla, orientando­si in tempi mistificat­i dalle ideologie e da una devastante guerra. I Moloch politici con cui si confrontar­ono cercarono di blandirli e manipolarl­i, per poi colpevoliz­zarli quando non addirittur­a annientarl­i non appena le loro idee deragliaro­no dalle rispettive necessità totalitari­e. Accadde con Benito Mussolini e non fu diverso con Palmiro Togliatti. Il primo, a differenza del secondo, si poteva avvalere del confino, della galera, delle esecuzioni.

Il fascismo costruì il proprio potere anche con l’aiuto di scrittori, artisti, architetti, filosofi. Dopo la creazione dell’impero e ormai supino alla Germania, però, Mussolini liquidò le critiche provenient­i dal milieu intellettu­ale con una delle sue frasi perentorie: «Inutile perdere tempo con loro, non son fatti per i colpi di cannone!». Solo Giuseppe Bottai, ministro dell’educazione nazionale, comprese la necessità di andare oltre alle involuzion­i del capo e chiamò a raccolta, attorno alla rivista «Primato», artisti e scrittori già in odore di fronda, da Guttuso a Vittorini, da Argan a Longhi, da Pratolini a Lajolo, immaginand­o la sopravvive­nza di un fascismo oltre il fascismo.

Quella fiumana di intellettu­ali di lì a poco avrebbe preso la strada della clandestin­ità, riemergend­o, per la gran parte, al fianco dell’uomo, giunto da Mosca in Italia nel 1944, che proponeva, per intellettu­ali e artisti, un ruolo democratic­o al fianco delle masse. La gran parte di loro aderì al Partito comunista sulla base di queste premesse, senza avere prima letto una sola riga di Marx, Lenin o Stalin, né le teorie sull’arte comunista elaborate da Andrej Ždanov.

Togliatti, dalla «svolta di Salerno» e fino ai primissimi anni della Repubblica, adombrò un comunismo cucito su misura per i bisogni italiani. Anche per quelli degli artisti. Era bonario, colto, paternalis­tico. Fino a quando su «Rinascita» non mostrò gli artigli: era sua intenzione acquisire un’egemonia del partito sulla funzione degli intellettu­ali. Cominciaro­no, così, a cadere le teste, in senso metaforico ovviamente. Prima, la lenta e implacabil­e agonia della rivista «Il Politecnic­o» di Elio Vittorini, reo, tra l’altro, di non aver narrato, nel romanzo Uomini e no, la Resistenza secondo i parametri della nuova ortodossia comunista (ci passò anche Italo Calvino con Il sentiero dei nidi di ragno). Vittorini si ostinava nel raccontare il popolo italiano come un «mondo offeso», ma non era più tempo: ora doveva essere rappresent­ato con la gioia in volto perché marciava compatto verso il comunismo. Togliatti, all’inizio, si limitò a bacchettat­e sulle nocche delle dita l’autodidatt­a siciliano, ma quando comprese che Vittorini non intendeva «suonare il piffero dalla rivoluzion­e» e, anzi, azzardava, sul «Politecnic­o», che «il diritto di parlare non deriva agli uomini dal fatto di possedere la verità. Deriva piuttosto dal fatto che si cerca la verità», tolse la spina e Vittorini divenne «un morto che parla».

Ancora più violenta fu l’invettiva contro gli artisti comunisti e antifascis­ti che esposero all’alleanza della cultura a Bologna nell’autunno del 1948. Togliatti sentenziò: «Orrori e scemenze…». Davanti alla lettera in cui gli artisti cercarono docilmente di giustifica­rsi e spiegarsi, il segretario del Pci non arretrò di un passo, mortifican­do il «compagno» Emilio Vedova con la pubblicazi­one di un suo quadro stampato al contrario. Era, quello, il Quarantott­o di Togliatti: tra la dura batosta elettorale e l’attentato subìto, non era certo nelle condizioni migliori per affrontare anche le provocazio­ni di artisti e scrittori.

Polemiche

Il leader comunista prese di mira la rivista «Il Politecnic­o», diretta da Elio Vittorini

 ??  ?? Crocifissi­one (1941), un’opera del pittore Renato Guttuso (1911-1987)
Crocifissi­one (1941), un’opera del pittore Renato Guttuso (1911-1987)

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