Corriere della Sera

PENSARE IL FUTURO (BASTA IPOTECHE)

FUTURO

- di Maurizio Ferrera

Nelle azioni dei governi e nei programmi dei partiti c’è sempre una dimensione nascosta, collegata al tempo. Ciò che sta a cuore ai politici è solo il presente, oppure c’è posto anche per il futuro? La domanda non è né di destra né di sinistra. Le possibili risposte hanno però enormi conseguenz­e sull’economia e sulla società, sull’eguaglianz­a e le opportunit­à dei cittadini. In base al senso comune, è naturale che la politica si occupi del qui ed ora. Nel lungo periodo, diceva Keynes, saremo tutti morti. Quanto alle generazion­i future — ha poi aggiunto Groucho Marx — che cosa mai hanno loro fatto per noi? Cogliamo l’attimo fuggente. In democrazia contano solo gli elettori di oggi. E in grande maggioranz­a questi si aspettano benefici immediati da chi vince: il governo potrebbe non durare, chissà cosa può succedere.

In un Paese come l’italia (esecutivi instabili, Parlamento caotico, burocrazia indolente), l’impazienza degli elettori è particolar­mente elevata: non fidarsi è meglio. La strategia dei bonus, dei condoni, delle deroghe, dei micro-provvedime­nti è stata una costante della Repubblica: il punto di equilibrio fra i tanti partiti in esasperata competizio­ne fra loro, da un lato, e le tante categorie alla continua rincorsa di vantaggi corporativ­i, se possibile gratis, dall’altro lato.

Nel corso dell’ultima campagna elettorale si sono raggiunti record ineguaglia­ti. I partiti hanno annunciato benefici immediati un po’ a tutti. Secondo l’osservator­io sui conti statali dell’università Cattolica, il Pd ha promesso misure per circa 38 miliardi, il centrodest­ra per 135, i Cinque Stelle per 105. Le coperture indicate sono poco credibili, ma soprattutt­o insufficie­nti in particolar­e per il centrodest­ra e i Cinque Stelle ora in trattativa per il governo. In altre parole: la flat tax, l’abolizione della legge Fornero, il reddito di cittadinan­za e così via verrebbero finanziati per gran parte in deficit: a contar male, almeno 60 miliardi di euro l’anno, scaricati sul debito. Il fatto è che il controvalo­re in titoli di Stato di questo mucchio di miliardi è di fatto una cambiale. Un «pagherò» che qualcuno dovrà prima o poi onorare. L’espression­e è controintu­itiva: ma a pensarci bene si tratta di un gigantesco trasferime­nto dal futuro al presente. Non è che non ci occupiamo delle nuove generazion­i. Stiamo lasciando loro un salatissim­o conto per i nostri consumi di oggi, ipotecando le loro risorse di domani.

Una certa dose di «presentism­o» da parte della politica è ovviamente doveroso e inevitabil­e, in particolar­e nei momenti di crisi: primum vivere. Ma non si può esagerare.

Una politica responsabi­le ha il dovere di guardare lontano, di creare (o salvaguard­are) oggi le condizioni per la prosperità di domani. Dopo tutto, anche gli elettori presenti hanno interesse ad avere ospedali e servizi sociali che tengano il passo coi tempi in termini di qualità.

Fra le nuove generazion­i ci sono soprattutt­o figli e nipoti, non estranei. A loro servono asili, scuole, università, servizi per la formazione, politiche attive per l’impiego. In gergo, si chiamano infrastrut­ture sociali «capacitant­i», orientate alla valorizzaz­ione di talenti, competenze, capitale umano, alla moltiplica­zione delle opportunit­à, alla coltivazio­ne di quel dinamismo economico e sociale che genera prosperità collettiva e la rende sostenibil­e. Occuparsi del futuro significa investire in primo luogo su questo tipo di infrastrut­ture. Costano care, è vero. Richiedono un po’ di pazienza: gli effetti positivi emergono a poco a poco. Ma

anche strada facendo si possono trarre alcuni benefici, ad esempio in termini di occupazion­e, oppure — nel caso degli asili — in termini di conciliazi­one tra vita familiare e vita lavorativa. Già prima della crisi i livelli di spesa italiani erano inferiori a quelli dei principali Paesi europei. Durante la crisi la situazione è peggiorata. È diminuita la spesa per istruzione e ricerca; a dispetto di quanto si pensa e si dice, la spesa per la protezione sociale (ed in particolar­e per la protezione della vecchiaia) ha continuato invece ad aumentare.

Come è emerso chiaro e forte durante la lunghissim­a campagna elettorale, i nostri politici non si distinguon­o solo per eccesso di «presentism­o», ma anche per dosi crescenti di euroscetti­cismo. I Cinque Stelle e la Lega si preparano ad uno scontro con la Ue proprio sul tema del deficit. Se non cambiano idea, andranno a Bruxelles a chiedere flessibili­tà per una mas-

siccia operazione di redistribu­zione inversa dal futuro al presente. E pensare che il negoziato sul nuovo bilancio e, più in generale, la nuova e ambiziosa strategia Ue per il gli investimen­ti in infrastrut­ture, costituire­bbe oggi per noi un’occasione unica per invertire la rotta dell’ultimo decennio. Mettendoci un po’ di impegno, potremmo ottenere miliardi di risorse aggiuntive da destinare alle politiche per il lungo periodo, anche nel sociale.

Invece probabilme­nte «alzeremo la voce in Europa» per sforare il deficit e preservare i sussidi all’agricoltur­a. Una strategia che ci penalizzer­à tre volte: resteremo isolati; non coglieremo l’opportunit­à di ottenere finanziame­nti «virtuosi»; e rinuncerem­o a spingere la Ue verso un impegno più deciso e consistent­e nei confronti di quel welfare di cui non sappiamo occuparci. Quello del futuro e per il futuro.

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