PENSARE IL FUTURO (BASTA IPOTECHE)
FUTURO
Nelle azioni dei governi e nei programmi dei partiti c’è sempre una dimensione nascosta, collegata al tempo. Ciò che sta a cuore ai politici è solo il presente, oppure c’è posto anche per il futuro? La domanda non è né di destra né di sinistra. Le possibili risposte hanno però enormi conseguenze sull’economia e sulla società, sull’eguaglianza e le opportunità dei cittadini. In base al senso comune, è naturale che la politica si occupi del qui ed ora. Nel lungo periodo, diceva Keynes, saremo tutti morti. Quanto alle generazioni future — ha poi aggiunto Groucho Marx — che cosa mai hanno loro fatto per noi? Cogliamo l’attimo fuggente. In democrazia contano solo gli elettori di oggi. E in grande maggioranza questi si aspettano benefici immediati da chi vince: il governo potrebbe non durare, chissà cosa può succedere.
In un Paese come l’italia (esecutivi instabili, Parlamento caotico, burocrazia indolente), l’impazienza degli elettori è particolarmente elevata: non fidarsi è meglio. La strategia dei bonus, dei condoni, delle deroghe, dei micro-provvedimenti è stata una costante della Repubblica: il punto di equilibrio fra i tanti partiti in esasperata competizione fra loro, da un lato, e le tante categorie alla continua rincorsa di vantaggi corporativi, se possibile gratis, dall’altro lato.
Nel corso dell’ultima campagna elettorale si sono raggiunti record ineguagliati. I partiti hanno annunciato benefici immediati un po’ a tutti. Secondo l’osservatorio sui conti statali dell’università Cattolica, il Pd ha promesso misure per circa 38 miliardi, il centrodestra per 135, i Cinque Stelle per 105. Le coperture indicate sono poco credibili, ma soprattutto insufficienti in particolare per il centrodestra e i Cinque Stelle ora in trattativa per il governo. In altre parole: la flat tax, l’abolizione della legge Fornero, il reddito di cittadinanza e così via verrebbero finanziati per gran parte in deficit: a contar male, almeno 60 miliardi di euro l’anno, scaricati sul debito. Il fatto è che il controvalore in titoli di Stato di questo mucchio di miliardi è di fatto una cambiale. Un «pagherò» che qualcuno dovrà prima o poi onorare. L’espressione è controintuitiva: ma a pensarci bene si tratta di un gigantesco trasferimento dal futuro al presente. Non è che non ci occupiamo delle nuove generazioni. Stiamo lasciando loro un salatissimo conto per i nostri consumi di oggi, ipotecando le loro risorse di domani.
Una certa dose di «presentismo» da parte della politica è ovviamente doveroso e inevitabile, in particolare nei momenti di crisi: primum vivere. Ma non si può esagerare.
Una politica responsabile ha il dovere di guardare lontano, di creare (o salvaguardare) oggi le condizioni per la prosperità di domani. Dopo tutto, anche gli elettori presenti hanno interesse ad avere ospedali e servizi sociali che tengano il passo coi tempi in termini di qualità.
Fra le nuove generazioni ci sono soprattutto figli e nipoti, non estranei. A loro servono asili, scuole, università, servizi per la formazione, politiche attive per l’impiego. In gergo, si chiamano infrastrutture sociali «capacitanti», orientate alla valorizzazione di talenti, competenze, capitale umano, alla moltiplicazione delle opportunità, alla coltivazione di quel dinamismo economico e sociale che genera prosperità collettiva e la rende sostenibile. Occuparsi del futuro significa investire in primo luogo su questo tipo di infrastrutture. Costano care, è vero. Richiedono un po’ di pazienza: gli effetti positivi emergono a poco a poco. Ma
anche strada facendo si possono trarre alcuni benefici, ad esempio in termini di occupazione, oppure — nel caso degli asili — in termini di conciliazione tra vita familiare e vita lavorativa. Già prima della crisi i livelli di spesa italiani erano inferiori a quelli dei principali Paesi europei. Durante la crisi la situazione è peggiorata. È diminuita la spesa per istruzione e ricerca; a dispetto di quanto si pensa e si dice, la spesa per la protezione sociale (ed in particolare per la protezione della vecchiaia) ha continuato invece ad aumentare.
Come è emerso chiaro e forte durante la lunghissima campagna elettorale, i nostri politici non si distinguono solo per eccesso di «presentismo», ma anche per dosi crescenti di euroscetticismo. I Cinque Stelle e la Lega si preparano ad uno scontro con la Ue proprio sul tema del deficit. Se non cambiano idea, andranno a Bruxelles a chiedere flessibilità per una mas-
siccia operazione di redistribuzione inversa dal futuro al presente. E pensare che il negoziato sul nuovo bilancio e, più in generale, la nuova e ambiziosa strategia Ue per il gli investimenti in infrastrutture, costituirebbe oggi per noi un’occasione unica per invertire la rotta dell’ultimo decennio. Mettendoci un po’ di impegno, potremmo ottenere miliardi di risorse aggiuntive da destinare alle politiche per il lungo periodo, anche nel sociale.
Invece probabilmente «alzeremo la voce in Europa» per sforare il deficit e preservare i sussidi all’agricoltura. Una strategia che ci penalizzerà tre volte: resteremo isolati; non coglieremo l’opportunità di ottenere finanziamenti «virtuosi»; e rinunceremo a spingere la Ue verso un impegno più deciso e consistente nei confronti di quel welfare di cui non sappiamo occuparci. Quello del futuro e per il futuro.