Il giorno più lungo di Forza Italia Tutti in pressing su Silvio per l’astensione «benevola»
Il partito tira un sospiro di sollievo dopo la nota di Arcore Ma le linee ora sono due: sparare da fuori o partecipare «di sponda»
ROMA «Astensione benevola, visto che formula?». Alle 8 di sera, dopo un aperitivo consumato insieme ad alcuni amici forzisti in un albergo nel centro di Roma, Giovanni Toti aspetta di andare a cena. Con le dovute differenze tra il presente e il passato remoto, al contrario di quanto non capitò per l’attribuzione della trovata delle «convergenze parallele» tra Dc e Pci (la formula esatta era di Moro oppure no?), quando si tratterà di risalire alla genesi del «governo pentaleghista nato con l’astensionismo benevolo di Forza Italia» il copyright sarebbe senz’altro suo. «L’avevo detto a Rete 4, l’ho ripetuto stamattina (ieri, ndr) a Radio 1...», scherza con gli amici il governatore della Liguria riavvolgendo il nastro della giornata, prima che la nota di Berlusconi mandi tutti all’appuntamento coi brindisi del caso.
«Dobbiamo affidarci a quello che dirà Berlusconi», dice Anna Maria Bernini aprendo la riunione dei senatori nel primo pomeriggio. «Dobbiamo avere fiducia nel presidente», scandisce a qualche centinaio di metri di distanza Mariastella Gelmini di fronte ai deputati. Due dispositivi praticamente identici. Un modo, concordato, di non forzare la mano con Arcore, per non trasmettere al «capo» la pressione di un gruppo parlamentare compatto come non mai sulla linea di scongiurare le elezioni a tutti i costi.
Ma mentre a Montecitorio gli azzurri affidavano la melina a una lunghissima digressione sul Def dell’ex capogruppo Renato Brunetta, a Palazzo Madama — nel corso degli interventi — faceva capolino la formula più gradita. «Nel giorno del varo del governo, noi usciremo dall’aula...». Un «non aderire né sabotare» che, nei fatti, è più aderire che sabotare.
Dietro la formula dello «staremo all’opposizione», però, si nascondono due linee. La prima è quella di chi, all’interno di Forza Italia, vuole la nascita del governo M5s-lega solo per guadagnare tempo, «cannoneggiarlo» da fuori e puntare a riscrivere la geografia politica dei moderati italiani guardando un domani, chissà, alle mosse di Matteo Renzi e dei renziani. L’altra è quella di chi, sotto sotto, pensa più al piede da tenere dentro che a quello da lasciare fuori. «Se Lega e Cinque Stelle vogliono sperimentare un governo giallo-verde, si può fare senza rompere il centrodestra», sottolinea Paolo Romani. «Il mio voto un governo con Di Maio dentro non l’avrà mai», ripete allo sfinimento Gasparri.
Con Berlusconi che in giornata tace in attesa di giocarsi gli ultimi assi, dopo il via libera arrivato all’ora di cena più che le parole contano la sfumature. Come comportarsi una volta che questo governo sarà nato? «Se ci fossero casi di cronaca che riguardano gli immigrati con Salvini al governo — ragiona a voce alta alla buvette di Montecitorio il neoeletto Alessandro Sorte, ex assessore della giunta Maroni in Lombardia — secondo voi potremmo stare zitti?». Le regole d’ingaggio diffuse in serata danno la cifra di quello che, nei prossimi giorni, i parlamentari forzisti dovranno dire in tv. E cioè che «Berlusconi, nei momenti della storia in cui gli è stato chiesto, si è sempre dimostrato un leader responsabile. Col governo di Lamberto Dini nato nel 1995 dopo il ribaltone della Lega, con Mario Monti nel 2012, con Enrico Letta nel 2013».
Ma questi sono solo i primi cento metri di quella che, per Forza Italia, rimane sempre e comunque una maratona. Le due linee su come approcciarsi al governo, nell’arco di pochi giorni, verranno fuori. Quando si tratterà di dire la propria sui ministri e il sottogoverno. O quando sarà l’ora di indicare i presidenti delle commissioni parlamentari. A cominciare, tanto per dirne una, da quella di Vigilanza sulla Rai.
Nel partito Romani: «Vogliono fare un governo i 5 Stelle e la Lega? Lasciamoli sperimentare»