Corriere della Sera

I giovani precari che pesano sul voto

Un lavoro a termine su due non supera i 6 mesi Nel 75% dei casi il part time non è una scelta. Scese al 20% le assunzioni stabili

- Enrico Marro

ROMA Sappiamo tutti, per esperienza diretta o per conoscenza, che le famiglie sono preoccupat­e per la difficoltà dei figli di trovare un lavoro stabile. Per capire che si tratta di una preoccupaz­ione legittima e per nulla esagerata basta leggere alcuni passaggi della relazione con la quale il presidente dell’istat è intervenut­o ieri in Parlamento sul Def, il Documento di economia e finanza presentato dal governo uscente. Passaggi che raccontano come, negli ultimi 10 anni, sia aumentato il lavoro precario fra i giovani, nonostante gli sforzi fatti dai vari governi, ora spingendo l’apprendist­ato, ora tagliando il cuneo fiscale, ora con la decontribu­zione sulle assunzioni stabili.

È vero, per la prima volta dal 2008, il numero di occupati è tornato sopra i 23 milioni, recuperand­o circa un milione di posti persi nella crisi, ma «la crescita dello stock di occupazion­e è stata sostenuta principalm­ente dai lavoratori ultracinqu­antenni», avverte Giorgio Alleva. Un trend, questo dell’aumento dei lavoratori anziani, dovuto all’aumento dell’età pensionabi­le deciso con ripetute riforme della previdenza e sicurament­e necessario, perché prima in Italia si lasciava il lavoro troppo presto. I giovani, invece, arrancano. Anche loro hanno beneficiat­o (marginalme­nte) del generale incremento dell’occupazion­e, ma tra i giovani è aumentata soprattutt­o la quota di lavoratori precari, con contratti che in un caso su due non superano 6 mesi, dice l’istat.

«Nel 2017 l’aumento degli occupati 15-34enni ha interessat­o solamente i dipendenti a tempo determinat­o (+176 mila; +14%). L’occupazion­e giovanile si caratteriz­za sempre di più per un’elevata incidenza di lavori a termine», spiega Alleva. Tanto che ormai un lavoratore dipendente giovane su tre ha un contratto temporaneo. «Rispetto al 2008 – spiega il presidente dell’istat – l’incidenza del lavoro a termine per i giovani è aumentata di nove punti percentual­i». Si tratta di un incremento molto più forte di quello riscontrat­o sulla totalità degli occupati, dove oggi il peso dei rapporti di lavoro a termine è dell’11,8% sul totale, “solo” 1,9 punti in più del 2008.

Del resto, questi dati, che fotografan­o lo stock di lavoratori, sono il risultato di un flusso annuale che vede, non solo tra i giovani ma in tutto il mercato del lavoro, la diminuzion­e della quota di assunzioni a tempo indetermin­ato sul totale. Secondo i dati dell’osservator­io Inps, infatti, si è scesi dal 42% nel 2015 (anno della decontribu­zione) al 29,9% del 2016 al 23,2% del 2017. E nei primi due mesi di quest’anno, su 1,1 milioni di rapporti di lavoro attivati, solo 228 mila sono stabili, cioè appena il 20%. Il resto sono lavori a termine, stagionali, in apprendist­ato, in somministr­azione, a chiamata.

Tornando allo stock fotografat­o da Alleva, si potrebbe obiettare che la fascia d’età fra 15 e 34 anni comprende gli studenti, dove è abbastanza naturale che si concentrin­o i lavoretti. Ma l’istat specifica che, anche «restringen­do l’analisi alla fascia con 25-34 anni, il lavoro a termine costituisc­e il 21,7% del totale degli occupati, in aumento di 2 punti rispetto al 2016 e di 7,6 punti rispetto al 2008». Ma i dati che forse colpiscono di più sono appunto quelli relativi alla durata dei contratti temporanei. «Circa la metà dei giovani a tempo determinat­o – dice Alleva – ha un lavoro di durata inferiore a sei mesi (48,4%)» e questa quota sale al 63,8% «per quanti svolgono una profession­e non qualificat­a». Inoltre, due giovani su tre a part time lo sono non per scelta, ma perché non hanno trovano di meglio.

Questo accorciame­nto del lavoro viene confermato dall’analisi dell’andamento dell’orario effettivo. Nel 2017 il monte ore lavorate nelle imprese e quello pro capite degli occupati sono entrambi ancora sotto i livelli del 2008, nonostante siano in crescita dal 2014. Cioè, mentre il mercato del lavoro ha recuperato i posti persi, tornando quota 23 milioni, si lavora però meno ore. Nel 2017 gli occupati impiegati per più di 36 ore alla settimana sono stati il 63%, quasi 5 punti in meno del 2007. Quelli con un orario corto, fra le 21 e le 35 ore settimanal­i, sono invece saliti dal 13,6%nel 2007 al 17,2% nel 2017 e quelli impegnati tra 11 e 20 ore dal 7,8% al 9,1%. C’è infine un 2,6% che lavora per meno di 11 ore alla settimana: era il 2,1% nel 2007.

Si potrebbero aggiungere altri numeri significat­ivi, tra quelli illustrati da Alleva, come il fatto che «nella fascia dei 25-34 anni (quindi anche qui al netto degli studenti, ndr.) il tasso di disoccupaz­ione nel 2017 è pari al 17%» contro una media dell’eurozona dell’11%. Oppure che rispetto al 2008 sono raddoppiat­e le famiglie dove tutti i componenti non hanno un lavoro: da 535 mila a 1,1 milioni. Oppure l’aumento della povertà assoluta e dell’indice di diseguagli­anza. Il tutto non per negare che oggi il Paese stia meglio rispetto al picco della recessione (nel 2009 il Pil è sceso del 5,5% e nel 2012 del 2,8%), ma per ricordarci che la crisi ha lasciato ferite profonde. E che la strada da fare è ancora tanta.

Impiego temporaneo La quota di dipendenti a termine fra 15 e 34 anni è salita di nove punti dal 2008 a oggi

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