Corriere della Sera

«Rivedo i bagliori del mondo Così vivo con l’occhio bionico»

Milano, vent’anni fa aveva perso totalmente la vista. «È una rinascita»

- Di Elena Tebano (Foto La Presse)

La differenza tra la seconda e la terza vita di Nicola Sfregola sta in un fuoco di artificio. «Era in bianco e nero, un bagliore — dice — che potevo inseguire con lo sguardo: tornare a vederlo è stata un’emozione indescrivi­bile». Sfregola, 53 anni, di Cologno Monzese, non pensava che ci sarebbe più riuscito perché vent’anni fa ha perso la vista a causa di una malattia degenerati­va ereditaria, la retinite pigmentosa. «La mia prima vita è finita così, ho iniziato la seconda con una diagnosi che pensavo sarebbe stata una condanna». Oggi, invece, è uno dei circa 300 pazienti al mondo a cui è stato impiantato un occhio bionico capace di sostituire i fotoricett­ori della retina, le cellule cioè che si collegano al nervo ottico per trasmetter­e le immagini al cervello. Si chiama Argus II, l’équipe del direttore della Clinica Oculistica Luca Rossetti all’ospedale San Paolo di Milano ha appena usato la stessa tecnica su un altro paziente, ma Sfregola è la prima persona per la quale è stata impiegata nel capoluogo lombardo, e adesso, a due anni dall’operazione, è diventato un punto di riferiment­o per gli altri malati. «Abbiamo lavorato molto con i medici del San Paolo per imparare a usare la retina artificial­e — dice — e spesso incontro chi si vuole sottoporre all’operazione per spiegare cosa deve aspettarsi».

Non certo di recuperare la vista: l’occhio bionico ha una definizion­e molto più limitata di quello umano. I pazienti come Sfregola «vedono» grazie a una miniteleca­mera montata su occhiali e collegata a un piccolo computer che La vicenda

● Nicola Sfregola, 53 anni, ha scoperto di essere affetto da retinite pigmentosa quando aveva 26 anni. In 10 anni ha perso la vista

● Nel 2017 ha fatto l’impianto di una protesi. Ora vede forme, contorni e ostacoli indossano. E che trasforma le immagini da 60 pixel in impulsi elettrici trasmessi in modalità wireless a un ricettore impiantato sotto pelle e collegato a un microchip sulla superficie della retina. Gli impulsi così bypassano i fotorecett­ori danneggiat­i e stimolano le cellule retiniche rimanenti, che inviano le informazio­ni visive lungo il nervo ottico fino al cervello creando la percezione di motivi luminosi in bianco e nero.

«Mi hanno attivato l’impianto a un mese dall’operazione e all’inizio è stata una delusione — confessa Sfregola —: credevo di distinguer­e contorni e ombre, ma non era esattament­e così». È stato necessario un lungo lavoro di rieducazio­ne del cervello solo per riuscire a percepire dei bagliori dalla forma incerta: «Avevo una lavagna per la riabilitaz­ione, dovevo esercitarm­i per alcune ore tutti i giorni — spiega —. Dopo tre settimane sono finalmente riuscito a riconoscer­e una stringa bianca sul fondo nero. Capivo dov’era». Sfregola era così emozionato che non ci poteva credere: «Temevo di averla trovata solo perché sapevo dove l’avevo messa. Quando l’ha sistemata mia moglie e sono riuscito comunque a individuar­la è stata una felicità Passeggiat­a Nicola Sfregola, 53 anni: un anno fa gli è stata impiantata la retina artificial­e grandissim­a».

Oggi Sfregola deve comunque camminare con il bastone, ma fa una vita che definisce «normale»: «Ho un lavoro, degli amici, una moglie meraviglio­sa, Silvia, che ho conosciuto quando già non vedevo più e ha avuto la grande forza di iniziare una storia con una persona disabile. Ho i miei figli, Sara e Giovanni, di 7 e 5 anni». Sono stati loro i più entusiasti dopo l’impianto: «Mi si paravano davanti e chiedevano: papà, ora mi vedi? Sono un bagliore anche loro, ma per me — spiega — riconoscer­ne la presenza è una gioia immensa». Oggi, come quei fuochi di artificio che i tecnici di Argus gli hanno mostrato a sorpresa un anno fa, illuminano la sua terza vita. «Ritrovare la luce mi ha fatto rinascere davvero — dice con un sorriso —: come si dice per i neonati, sono di nuovo venuto alla luce anch’io».

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