«Il miracolo», la serie di Ammaniti tra satanico e celeste
U no dei personaggi più enigmatici de Il miracolo, padre Marcello (Tommaso Ragno), un prete tossico, truffatore, feticista, cita un brano delle Scritture, quasi a suggerirci una chiave interpretativa: «Quelli che sono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli che sono secondo lo Spirito, pensano alle cose dello Spirito. Ma ciò che brama la carne è morte, mentre ciò che brama lo Spirito è vita e pace» (Romani, 8,5).
La serie di Niccolò Ammaniti è un’accorta commistione di carne e spirito, di satanico e di celeste, di soprannaturale e quotidiano, in una lunga schermaglia mossa da un’esasperazione impura che accende tutti i possibili contrasti (Sky Atlantic). La storia comincia quando in un covo del boss della ‘ndrangheta viene trovata la statua di una Madonnina che piange sangue. C’è un trucco? Cosa nasconde quel mistero che nessuno riesce a spiegare? Il sangue che scorre in abbondanza (lacrime, cadaveri, autopsie) stringe in una fatale coazione a reagire un gruppo di persone: il premier Fabrizio Pietromarchi (Guido Caprino), sua moglie (Elena Lietti), un generale dei carabinieri che guida le indagini (Sergio Albelli) e la biologa che analizza il sangue (Alba Rohrwacher).
Ammaniti considera la serialità come i suoi romanzi, un esercizio di scrittura alta, autoriflessiva, un continuo oscillare di teatralità, dove ogni inquadratura è carica di un’intensità violenta, dolorosa e, a tratti, di disperata dolcezza (come Il mondo di Jimmy Fontana). L’aspetto più curioso de Il miracolo è il dispiegarsi di vari registri narrativi: Ammaniti condivide infatti la regia con Francesco Munzi e Lucio Pellegrini, due registi tra loro molto differenti, e la sceneggiatura con Francesca Manieri, Francesca Marciano e l’indispensabile Stefano Bises. Il miracolo è prodotto da Wildside, in co-produzione con Arte France e Kwà.