Corriere della Sera

E se ripartissi­mo con una nuova cultura sul lavoro?

- Di Dario Di Vico

La ricerca dell’iref condotta per conto delle Acli è sicurament­e coraggiosa perché in qualche maniera «si sporca le mani». Non accetta le giaculator­ie e si confronta con gli slittament­i della realtà, con il forzoso adattament­o dei giovani a un mercato del lavoro che li penalizza struttural­mente. Non ha timore quindi di far emergere una sorta di cultura della deroga che ha preso piede e che in qualche maniera è stata fatta propria obtorto collo dagli stessi ragazzi (come del resto in letteratur­a aveva segnalato da tempo il sociologo americano Richard Sennett parlando di «corrosione del carattere»). Ho trovato particolar­mente incisivo il passaggio sulla cosiddetta «economia della promessa» che finisce per comandare sul mercato. Il pagamento della prestazion­e è solo una delle forme di retribuzio­ne, le altre sono tutte differite o possono essere promesse di futura stabilizza­zione oppure persino la mera possibilit­à di avere visibilità sul mercato. Quando poi «l’economia della passione» si abbina alla “trappola della passione” ovvero alla forte motivazion­e personale del lavoratore, che-vuole-farepropri­o-quel-lavoro-lì e per quello ha studiato, si finisce per generare un circolo vizioso di illusioni e raggiri. È chiaro che tutta la fenomenolo­gia messa in evidenza dalla ricerca Iref deve spingere la società adulta a progettare in qualche modo delle discontinu­ità. C’è un nesso sempre più evidente oggi tra disuguagli­anza e crisi reputazion­ale della democrazia e

il funzioname­nto opaco e poco trasparent­e del mercato del lavoro è il primo fattore che spinge i giovani a “dubitare” delle istituzion­i, come se qualcuno avesse proditoria­mente cambiato le regole del gioco.

A prescinder­e quindi dal colore dei governi che si susseguono e dalle policy di merito che adottano è decisivo riempire il deficit di giustizia sociale che si è creato nel mercato e che la ricerca documenta amaramente.

Non sono, dunque, colpevoli i giovani di derogare all’alfabeto dei diritti che abbiamo costruito nel ‘900, siamo noi che dobbiamo aiutarli a far nascere una nuova cultura del lavoro che interagisc­a con la modernità ma sappia rimanere rispettosa della persona e della sua dignità.

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