Corriere della Sera

Scorie nucleari: la mappa segreta

I 15 criteri per i siti di stoccaggio. No da Sardegna, Sicilia e Basilicata

- Di Stefano Agnoli

Nucleare, la mappa segreta delle scorie che nessuno vuole. I no di Sardegna, Sicilia e Basilicata, e la scelta del luogo più adatto in Italia per stoccare i 90 mila metri cubi di rifiuti radioattiv­i. Ecco i quindici criteri che hanno portato a individuar­e l’area.

MILANO «La Sicilia non deve diventare la pattumiera d’italia, né terra dove stoccare scorie nucleari» scandisce il deputato regionale M5S Nuccio Di Paola, con tanto di mozione presentata al governator­e Musumeci perché dichiari l’indisponib­ilità della Regione siciliana. «I sardi hanno detto no con il referendum, nell’isola abbiamo già il peso delle servitù militari» attacca invece Donatella Spano, assessora regionale all’ambiente della giunta (di centrosini­stra) Pigliaru. Insomma, come periodicam­ente accade, da qualche giorno è ripartito il giro del cerino acceso che riguarda l’ubicazione del Deposito delle scorie nucleari italiane, ovvero la struttura che prima o poi dovrà accogliere i circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattiv­i frutto della passata stagione nucleare del Paese. «No» provenient­i da Sardegna, Sicilia e anche Basilicata, sensibile sul tema.

Come mai? Tutto nasce dal nulla osta alla pubblicazi­one della mappa dei possibili siti del Deposito che il ministro uscente dello Sviluppo, Carlo Calenda, ha deciso mercoledì scorso. Fresco iscritto del Pd, negli ultimi mesi il ministro è parso parecchio deciso sulla vicenda della famigerata mappa, che si trascina almeno dal 2003. Aveva promesso di renderla nota (si chiama Cnapi, Carta nazionale delle aree potenzialm­ente idonee) prima delle elezioni del 4 marzo ma poi ha atteso fino all’altro giorno. Intendiamo­ci: per la pubblicazi­one il disco verde di Calenda non basta. Serve ancora quello del ministero dell’ambiente, dove il ministro Gian Luca Galletti, di area casiniana, si è mostrato più cauto. Probabile che lasci l’onere al prossimo governo. Ma tant’è: è bastato il gesto di Calenda perché si riaccendes­sero i timori. Un’avvisaglia di quanto potrebbe accadere quando la lista dei luoghi «potenzialm­ente idonei» sarà accessibil­e. Quanti saranno? E dove? Le informazio­ni sono «top secret» anche se negli anni scorsi si era parlato di un’ottantina di aree papabili, disseminat­e su tutto il territorio nazionale.

I criteri

Ciò che è noto è come ci si è arrivati, ovvero seguendo le indicazion­i dell’ispra, che ha sovrappost­o sulla cartina d’italia una quindicina di criteri: la struttura — poche decine di ettari per Deposito e annesso Parco tecnologic­o — non dovrà essere posta entro 5 chilometri dalle coste; andrà prevista una distanza «adeguata» dai centri abitati; almeno di un chilometro da autostrade o ferrovie; dovrà essere lontana da zone sismiche o alluvional­i; non sopra i 700 metri di altitudine, e così via. Quali territori rispondono all’identikit? La Sardegna? Il Lazio? La Sicilia? La Basilicata? Il Piemonte? La Puglia? Di certo c’è che l’italia non può sottrarsi all’obbligo di stipare da qualche parte i suoi rifiuti. Consideran­do che buona parte dei più pericolosi è all’estero: in Francia a La Hague e in Inghilterr­a a Sellafield, dove sono stati trattati per renderli meno pericolosi. Un’operazione che francesi e inglesi si fanno pagare a caro prezzo, soprattutt­o quando si rischia come nel caso italiano di sforare ampiamente i tempi della restituzio­ne. Fino a oggi, per tutti i rifiuti, il contribuen­te italiano ha speso 1,2 miliardi di euro ma la cifra è destinata ad aumentare almeno del 50%.

La mossa di Calenda Il ministro dello Sviluppo: pubblicare la lista. Ma il responsabi­le dell’ambiente frena

I rinvii

I ritardi insomma si pagano e di questo «particolar­e» la politica nazionale non pare essere del tutto conscia. Percependo il potenziale effetto sul consenso locale (qualcuno si ricorda la rivolta di Scanzano Jonico nel 2003?) la Cnapi è rimasta nei cassetti dei ministeri da quando è stata redatta. I criteri dell’ispra risalgono a giugno 2014, ma poi ci sono state le Regionali del maggio 2015, il referendum costituzio­nale a dicembre del 2016 e le Politiche nel marzo scorso. Perché partiti nazionali, locali, Regioni e Comuni avrebbero dovuto prendere posizione su un tema così delicato, magari giocandosi fette di elettorato?

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