Corriere della Sera

Ora Di Maio rivendica per sé la premiershi­p: io argine alle concession­i E Grillo scende a Roma

Ipotesi staffetta, ma il capo leghista: allora inizio io Niente accordo con Meloni che incontra il leader M5S

- di Alessandro Trocino

ROMA Tensioni sul premier e sui ministri. Opinioni diametralm­ente opposte sull’ilva e sull’alcoa. Divergenze su immigrazio­ne e grandi opere. Imbarazzo sul conflitto d’interessi. Fastidio per l’entrata in scena di Davide Casaleggio. Dopo un avvio entusiasta, ieri la «relazione complicata» tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini ha subito una giornata durissima. Tanto che lo stesso leader M5S ha rispolvera­to, come clausola di stile ma forse non solo, l’ipotesi di tornare al voto in caso di disaccordo. Vincenzo Spadafora considera «al lumicino» le possibilit­à di tornare alle urne, ma è vero che lo stallo è giunto a un livello tale da suggerire la convocazio­ne urgente di un tavolo congiunto tra i tre uomini che contano nei 5 Stelle, Beppe Grillo, Davide Casaleggio e Luigi Di Maio.

Cuore della questione è la premiershi­p, che però è intimament­e connessa alla natura e all’identità di quello che il forzista Giovanni Toti chiama governo «ircocervo». Due teste e due anime. Quella del Movimento e quella, a sua volta composita, della Lega, che è e vuole continuare a far parte della coalizione di centrodest­ra. A che titolo e in che forma avere rapporti con FDI e Forza Italia è il centro del problema. Per questo Luigi Di Maio, pur proponendo ufficialme­nte un nome terzo, è tornato nei colloqui privati a riproporre la propria leadership. «Se facciamo concession­i — ha spiegato ai suoi — io premier sono l’unica garanzia che il governo non sbandi». E qui si incaglia la trattativa.

Perché Salvini, a sua volta, rivendica la premiershi­p o un nome terzo che sia in qualche modo gradito a Berlusconi e Meloni (con i suoi utilissimi 18 senatori). Da solo, come gli ricordano ormai apertament­e i 5 Stelle, Salvini vale solo il 17 per cento. E per questo lui preme per tenere agganciati gli alleati. Con lui premier, difficilme­nte Berlusconi potrebbe votare contro. E la sua presenza a Palazzo Chigi è considerat­a una garanzia anche dalla Meloni. Che ieri è uscita delusa dal colloquio voluto da Di Maio: «Ci volevano al governo — spiega — ma solo a patto che il premier fosse Di Maio o un 5 Stelle. Perché, mi è stato detto, sono troppo di destra. Ma come? A Luigi gli ho detto: te voglio bene, ma io con te premier, che mi dici che sono troppo di destra?». A sera la replica 5 Stelle: «Mai offerto governo, abbiamo parlato di appoggio esterno. Ma lei voleva il ministero della Difesa».

E dunque, tra veti contrappos­ti (ai 5 Stelle non è piaciuto il nome di Antonio Tajani), si è tornati allo schema iniziale. Di Maio e Salvini che rivendican­o la leadership e una lista di nomi terzi che non convincono. Per questo si è ripreso a parlare di staffetta, acrobatico compromess­o sicurament­e poco gradito sul Colle. Anche se poi la questione la complica la geografia dei ministeri.

La Lega potrebbe ottenere il sottosegre­tariato alla presidenza del Consiglio, magari con Giancarlo Giorgetti, e il Viminale. I 5 Stelle gli Esteri e l’economia. Ma questo è un passo successivo, perché, come dice la Meloni: «Non è che puoi fissare la data delle nozze, invitare tutti e non sapere chi è lo sposo».

Nel bailamme sui nomi, ci sono i famosi «temi». E una realtà che incombe. Come l’ilva di Taranto, sulla quale le posizioni sono inconcilia­bili. Come spiega il leghista Rossano Sasso: «Sostenere, come fanno i 5 Stelle, che l’ilva vada chiusa è inaccettab­ile». Ma c’è maretta anche su altro. I leghisti insistono per rimpatri forzati e ruspe, i 5 Stelle ragionano di accordi con i Paesi di origine. Salvini impugna la pistola perché «ogni difesa è legittima», i 5 Stelle nicchiano. Sul conflitto d’interessi, Barbara Lezzi evoca pericolosa­mente le parole di D’alema: «La legge ci sarà ma non sarà contro Berlusconi, perché Mediaset è un’azienda importante nel Paese».

Quanto basta per far tornare la divisione tra ortodossi e governisti. Con Alessandro Di Battista che non fa un regalo a Di Maio, spiegando di essere stato «molto, ma molto» contrario a un governo con il Pd (che stava trattando proprio l’«amico» leader). Contrario, proprio come Grillo. E con la base che rumoreggia e arriva fino a Palazzo Chigi, con il secondo sit-in in due giorni, che pretende «Di Maio premier». In nome di una purezza che si è persa già da un po’.

La presidente di FDI «Gli ho detto: io troppo di destra? Luigi, ti voglio bene ma con te premier non ci sto»

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Montecitor­io Luigi Di Maio, 31 anni, capo politico M5S, ieri al suo ingresso alla Camera (Ansa)
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Roberto Calderoli (Lega) Vicepresid­ente del Senato, 62 anni Giulia Bongiorno (Lega) Penalista, 52 anni, senatrice
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Giancarlo Giorgetti (Lega) Capogruppo alla Camera, 51 anni
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Giampiero Massolo Presidente di Fincantier­i, 63 anni
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Claudio Borghi (Lega) Economista, 47 anni, deputato
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Armando Siri (Lega) Economista, 46 anni, senatore

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