Il pessimismo leghista: il governo del Paese non è 4 amici al bar
Salvini e i suoi temono i veti su migranti e infrastrutture
MILANO «Un conto sono i quattro amici al bar. Ma il governo del paese è un altra cosa...». Un leghista di rango si lascia sfuggire la battuta, scoraggiato. La linea del partito resta quella di sempre, «stiamo lavorando», ma il clima è decisamente peggiorato. Complice il timer della crisi che sta rapidamente avviandosi verso il fine corsa: entro domani, il capo dello Stato Sergio Mattarella si attende molti più fatti che parole.
Questo pomeriggio, al grattacielo Pirelli di Milano, Matteo Salvini tornerà a vedere Luigi Di Maio. Saranno entrambi accompagnati dalle delegazioni dei due partiti, i fedelissimi che stanno tentando di mettere a punto il programma, anzi il «contratto» di governo. Certo, il candidato premier al momento «semplicemente non c’è». E semmai l’ipotesi fosse quella rocambolesca della «staffetta», ossia l’avvicendamento tra Salvini e Di Maio a metà legislatura, per i leghisti è «imprescindibile» che si parta dal loro segretario: «Diversamente, nemmeno se ne parla». E così, per oggi pomeriggio entrambi i leader puntano quanto meno a mettersi d’accordo sulle cose da fare e sugli impegni da prendere con gli italiani e con il presidente Mattarella.
A peggiorare il quadro, i rapporti dentro il centrodestra non sembrano scintillanti. Giorgia Meloni, dopo un incontro con Luigi Di Maio, ha annunciato che i Fratelli d’italia non saranno della partita («Mai in un governo a guida grillina»). E anche se Forza Italia ha smentito le parole attribuite a Silvio Berlusconi («Speriamo che questi due non vadano avanti perché mettono la patrimoniale») la distanza tra leghisti e azzurri resta. Il punto di vista di Forza Italia è stato messo in bella dalla capogruppo Anna Maria Bernini: «Siamo molto preoccupati per due ragioni essenziali: il pericolo di uno sforamento dei conti pubblici e una deriva giustizialista: non potremmo sopportare leggi che prevedano, ad esempio, la prescrizione mai». Bernini dice sì di fidarsi «di Matteo Salvini come alleato di centrodestra», ma «sulla sua attività di governo risponderà nei confronti del paese». E comunque, «con Forza Italia non è stato fatto nessun accordo». In sintesi: «Noi non vogliamo nulla e non vogliamo essere accostati a questo governo».
Fatti i conti, i margini dell’esecutivo in gestazione sono ridotti: solo 6 senatori in più sui provvedimenti ad alto rischio. Gli azzurri spiegano che, per loro, la carta nautica sarebbe il programma di centrodestra. E dunque la flat tax non avrebbe problemi al vaglio delle Camere. Ma il reddito di cittadinanza assolutamente sì: potrebbe contare solo sui voti pentaleghisti. E così, a suscitare le riflessioni preoccupate in Lega, il fatto che quel governo «per fare le cose» di cui parla da sempre il segretario leghista rischia di rivelarsi fragile.
Salvini e Di Maio oggi continueranno a parlare di programmi ed entrambi ostentano fiducia. Ma anche su quelli, se «contratto» dovrà essere, le distanze sembrano aumentare. Per esempio, sull’immigrazione. Il leghista di alto status riprende: «Ma quando noi vorremo fare i rimpatri sul serio, con tutta l’energia necessaria, siamo sicuri che loro non si impietosiranno? Questo ce lo devono dire con chiarezza. Ad oggi, noi non lo abbiamo capito».
E poi ci sono «le infrastrutture». Il problema, prosegue i parlamentare leghista, è «che loro sono contrari a tutto. A tutto letteralmente. No tap, no tav, no a questo e no a quello... Ma noi possiamo accettare una cosa di questo genere? E poi con che faccia ci presenteremo agli italiani che lavorano e si aspettano che le cose siano messe in marcia?». Quanto al conflitto di interessi, su cui i 5 Stelle continuano a puntare, i leghisti dicono di «non avere capito che cosa esattamente vogliano i 5 Stelle. Perché il Cavaliere, in un quadro di diritto, è assolutamente blindato».