Corriere della Sera

Il debito pubblico tiene ma il sentiero del deficit è ancora molto stretto

Il disavanzo a quota 1,6%, per il 2019 l’obiettivo sarebbe 0,8%

- di Mario Sensini

ROMA Quest’anno è meno complicata. Ci sono meno titoli da emettere, quasi 30 miliardi in meno rispetto al 2017, anche se ne restano pur sempre 400 da piazzare sul mercato. Pure il costo del debito è più basso di quello che ci si aspettava: nei primi quattro mesi la media dei tassi è stata dello 0,62%, inferiore allo 0,68% medio del 2017. La vita media continua ad allungarsi, le aste finora sono andate più che bene e nonostante l’incertezza politica i mercati hanno dato qualche segno di nervosismo solo nell’ultima settimana. Non è ancora stato completame­nte domato, ma anche secondo Bankitalia il debito pubblico italiano, il “mostro” della finanza pubblica europea (lo ricordava ieri il Financial Times), sembra essere tornato sotto controllo.

Anche se questo non offre al prossimo governo alcun margine di manovra sulla finanza pubblica. Anzi. Dopo essere schizzato all’insù di venti punti in dieci anni, il rapporto tra il debito e la ricchezza del Paese è tornato a scendere, dal 132% del 2016 al 131,8% dell’anno scorso. Quest’anno, senza fare nulla, passerà al 130,8. Poi, grazie anche all’effetto “palla di neve” dovrebbe andare giù ancora più velocement­e. Il 122% nel 2021, poco oltre il 100% nel 2027.

A garantire la flessione del rapporto tra debito e Prodotto interno lordo è stato finora l’avanzo primario, cioè il saldo di bilancio al netto della spesa per interessi, che è attivo. Il maggior avanzo dei prossimi anni, quello che permetterà il calo del debito, però, dipende da una sola cosa: l’aumento dell’iva. I conti che il governo Gentiloni lascia in eredità al prossimo esecutivo, dunque, migliorano esclusivam­ente grazie agli scatti delle aliquote sulle imposte indirette, che portano 12,5 miliardi l’anno prossimo e diventano quasi 20 dal 2020.

Tutti vogliono scongiurar­li, compreso il Pd, ma adesso il compito è molto più difficile che in passato. La Ue non concederà altra flessibili­tà sui conti pubblici, quindi non ci sarà la possibilit­à di coprire un nuovo congelamen­to degli aumenti Iva lasciando correre il deficit, come si è fatto fino ad ora. Un’operazione che ha “bruciato” oltre 70 miliardi di euro negli ultimi sette anni, non indolore, ma non struttural­e, che ha solo rinviato il problema, ora di nuovo all’orizzonte. Far sparire definitiva­mente dall’orizzonte lo spettro dell’iva costerebbe 30 miliardi di maggiori entrate o di minori spese in due anni, operazione difficilis­sima da impostare da qui a ottobre, quando si dovrà decidere. L’alternativ­a è un nuovo slittament­o di un anno, mettendo sul piatto un’altra dozzina di miliardi di “una tantum”. In compenso il governo potrebbe far conto su una crescita dell’economia più elevata, (si calcola uno 0,1% di Pil in più), un elemento che a sua volta aiuterebbe la discesa del rapcol porto tra deficit, debito e Prodotto interno lordo. Il margine di manovra resta comunque strettissi­mo.

Se la discesa del debito pubblico è stata considerat­a come un buon segnale, Bruxelles resta comunque molto rigida sul deficit e i tempi per raggiunger­e il pareggio di bilancio. Dal 2,3% del 2017, il deficit è previsto all’1,6% quest’anno, poi allo 0,8% nel 2019, pareggio nel 2020. La Commission­e Ue, però, ha dei dubbi sul percorso immaginato. E potrebbe mettere in discussion­e i piani, imponendo una manovra correttiva di 3 o 4 miliardi già quest’anno, rendendo tutto più complicato. Sempreché il nuovo governo voglia continuare a rispettare i parametri dell’unione Europea sui bilanci pubblici.

Meno emissioni

Quest’anno lo Stato dovrà emettere circa 30 miliardi in meno di titoli pubblici

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