Corriere della Sera

Dalla Siria allo Yemen I (troppi) fronti dei mullah in guerra

La cautela di Putin: niente missili e stop alla base navale

- di Guido Olimpio

In ottobre il comando iraniano ha inoltrato una richiesta a Damasco: vorremmo avere una nostra base navale a Tartous. I siriani hanno risposto: sentite i russi. E i russi hanno preso tempo, per nulla favorevoli. Poi hanno detto di non escludere un approdo solo per navi civili. Sottile distinzion­e quando si vogliono trasbordar­e cose come materiale bellico o uomini, ma comunque una distinzion­e. Che rivela come Teheran debba districars­i in un mondo particolar­e.

I mullah hanno un pugno di nemici agguerriti — Israele, Usa, i sauditi —, un paio di alleati interessat­i — Russia, Siria — e molti amici che badano ai contratti, leggi Europa. Ecco perché l’iran è chiamato a fronteggia­re molte sfide.

Gli iraniani hanno versato il sangue per difendere Assad. Oltre 700 pasdaran sono morti in battaglia, circa 400 sono presenti nel Paese per coordinare non meno di 10 mila miliziani sciiti. Con l’apparato Qods del generale Qasim Soleimani hanno dato un contributo deciso sui molti fronti al fianco dei lealisti, quindi hanno ampliato il loro network con una serie di basi. Le stesse prese di mira dagli israeliani in questi giorni. Teheran ha alimentato la sua «colonia» con l’intento di restare a lungo, in competizio­ne con il Cremlino. Per questo ha continuato a spedire equipaggia­menti, sistemi missilisti­ci, specialist­i usando due rotte: un ponte aereo di 10 voli alla settimana e convogli di grossi camion.

L’idea è quella di avere una linea di comunicazi­one autonoma, così come di sviluppare una struttura che possa difendere i propri interessi. Gli ayatollah hanno più volte sostenuto che il loro paese deve essere ripagato per quanto fatto. Russi e siriani ci «sentono» solo fino ad un certo punto. Temono che la presenza iraniana diventi, in futuro, troppo pesante. Dall’altra c’è la guerra-guerreggia­ta con Israele. Teheran cerca di mandare i «volontari» sciiti fin sotto i bunker del Golan occupato, marcia di avviciname­nto per poter insidiare militarmen­te lo stato ebraico anche se i rischi di pagare tanto sono alti. Le opzioni non mancano. Un anno fa, i pasdaran hanno lanciato sei ordigni terra-terra Zolfaghar dalla provincia occidental­e di Kermanshah contro posizioni Isis nella Siria nord orientale. Un messaggio-show con molti destinatar­i.

Altri missili sono stati forniti ai ribelli sciiti Houti nello Yemen. «Artigli» con i quali i tenaci guerriglie­ri rispondono ai bombardame­nti aerei

sauditi e degli Emirati. Poiché le coste yemenite sono protette, gli iraniani avrebbero usato una triangolaz­ione, facendo passare dei carichi dall’oman attraverso lo scalo di Salalah. Il sostegno agli insorti è parte di un rapporto complesso in quanto la fazione locale ha una propria agenda che non sempre collima con quella dell’alleato.

L’iran fa da sponda per tener testa a Riad, però non si fida, teme colpi che possano invischiar­la in un conflitto complicato per chiunque. Al tempo stesso non può tirarsi indietro. La crisi nel Golfo di Aden si lega al grande confronto regionale con i sunniti che, galvanizza­ti dalla spinta di Donald Trump, vogliono accentuare la pressione. Ovunque. La recente rottura diplomatic­a del Marocco con l’iran è un segnale: Rabat ha accusato gli iraniani di appoggiare il Polisario, il fronte che incarna da sempre la lotta del popolo Saharawi.

Pazienti tessitori, con una storia alle spalle, gli iraniani vogliono evitare trappole, ma devono fare i conti con la cro- nica faida di potere pragmatici-conservato­ri, esacerbata dalle proteste della piazza, dalle incognite sulla futura Guida — Khamenei è malato — e dalle minacce esterne. E guarderann­o con attenzione al voto di oggi in Iraq, stato dove gli sciiti contano e l’iran ha investito.

La Russia, ieri, ha fatto sapere che non fornirà i tanto promessi missili anti-aerei S300 alla Siria, gesto molto gradito dal premier israeliano Netanyahu, reduce dal suo viaggio a Mosca. La decisione del Cremlino — in qualche modo attesa — aumenta l’inquietudi­ne di Teheran. Non per caso un portavoce iraniano ha lamentato «il silenzio internazio­nale davanti all’aggression­e di Israele».

Le elezioni in Iraq Oggi si va al voto, gli sciiti contano e gli ayatollah guardano con attenzione all’esito

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Ministro Mohammad Javad Zarif, 58 anni, guida la diplomazia iraniana dal 2013

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