SU RICERCA E UNIVERSITÀ AIUTIAMO I SETTORI CHIAVE
Caro direttore, la comunità scientifica e una diffusa opinione nel nostro Paese ritiene che le forze politiche recentemente elette debbano porre maggiore attenzione al ruolo sempre più rilevante dell’attività di produzione di nuova conoscenza, ricchezza e coesione sociale svolte dalla ricerca, dall’università e dall’industria.
Non ascoltare queste indicazioni mette a repentaglio il futuro e richiede un deciso cambiamento nelle politiche e nelle priorità di sviluppo del Paese. Ad esempio nel settore biomedico l’italia ha una grande tradizione, come ben illustrato non solo dai premi Nobel assegnati a Golgi, Levi Montalcini, Dulbecco, Luria e Capecchi, ma anche da risultati di grande valore non solo scientifico, ma anche economico. Qui rileva la scoperta di nuovi farmaci come la rifampicina (Sensi in Farmitalia), delle cefalosporine (Brotzu, in Sardegna) e dei primi farmaci per la terapia farmacologica dei tumori (Farmitalia, Istituto Tumori di Milano, Bonadonna).
Si stima che più della metà degli antibiotici oggi prodotti a livello mondiale sia stata originata nel nostro Paese. A ciò si aggiungono nuovi importanti sviluppi nel settore della terapia genica (Ospedale San Raffaele, Bordignon). Su sei terapie tecnologicamente avanzate messe a punto in Europa tre vengono sviluppate in Italia. Non è un caso che l’industria farmaceutica italiana, erede di questa grande tradizione scientifica, abbia retto nella crisi e continui ad essere uno dei settori trainanti per il Paese con un fatturato complessivo di 30 miliardi ed una quota di export del 73% (secondo posto in Europa dopo la Germania).
Dal 2010 al 2016 ha registrato la più alta crescita della produzione (+13% rispetto a -5% della media manifatturiera), dell’export (+52% rispetto a +24%) ed un valore del 15% per investimenti in ricerca e sviluppo in rapporto al valore aggiunto, 10 volte la media nazionale, (Aspen). Il finanziamento statale della ricerca biomedica, come anche di altri campi, presenta luci ed
ombre e forti carenze nelle attività di programmazione e coordinamento a livello centrale che devono essere rimosse.
A differenza di quanto avvenuto in passato con il Governo Craxi (ministro Granelli) e Governo Berlusconi (vice ministro Possa) è mancata nell’esecutivo una adeguata rappresentanza di questo settore con la presenza di un vice ministro o di un sottosegretario dotato di ampia delega. Risultato: forti tagli nei già scarsi finanziamenti di vari settori di ricerca, mentre negli ultimi anni il bilancio dello Stato presentava un incremento nelle disponibilità di spesa pari ad oltre 300 miliardi di euro derivanti da un aumento del gettito fiscale e dall’incremento del debito pubblico. Un periodo in cui i 17 Istituti biomedici del Consiglio Nazionale delle Ricerche ed oltre 40 Dipartimenti universitari operanti nello stesso settore vedevano azzerarsi il contributo statale destinato allo svolgimento delle attività di ricerca con il paradossale risultato del continuato onere per lo Stato del pagamento delle spese incomprimibili di questi istituti, come stipendi ed altri costi a «uomo fermo», senza la possibilità di ottenere un proficuo ritorno da tali investimenti.
Contemporaneamente si è registrato negli scorsi anni l’istituzione di nuovi enti pubblici o para pubblici di ricerca con significativi finanziamenti ed attività nelle scienze della vita come la Fondazione Istituto Italiano di Tecnologie e la Fondazione Human Technopole, che si prevede opererà sopratutto nel settore biomedico con programmi ed attività già rappresentate nell’ambito del Cnr e dell’università. Iniziative, sia ben chiaro, positive, ma nate senza una attenta considerazione di quanto già esistente ed egregiamente funzionante. Un critico scenario che vede tuttavia anche alcuni recenti sviluppi positivi. Il ministero per l’istruzione, l’università e la Ricerca dopo un lungo periodo di assenza ha recentemente finanziato con 392 milioni (0,13% del suo bilancio) 180 dipartimenti universitari di cui 20 nel settore medico, mentre il ministero della Salute, nonostante disponga di limitate risorse (0,3% del Fondo sanitario nazionale invece dell’1% originalmente previsto) ha accelerato i suoi piani per consolidare i suoi 50 Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), in cui operano più di 25.000 ricercatori, in reti coordinate di studio e di terapie avanzate delle principali patologie (cardiovascolari, tumorali, pediatriche, neurologiche etc). Per gli stessi Istituti ha adottato strumenti di incentivazione, finanziamento e controllo del tutto allineati ai migliori standard internazionali.
La rete degli Irccs italiani, sviluppata a seguito della visione dei ministri della Salute Sirchia e Veronesi, che si è ispirata, unica in Europa, alla rete dei National institutes of health americani, è oggi un ulteriore esempio di eccellenza nel settore medico riconosciuto ed apprezzato internazionalmente.