Corriere della Sera

Quei telai del 1700 e il visionario che continua a crederci

Filippo Ricci e l’antico setificio fiorentino: 40 cm di broccato al giorno. «Ha incantato anche Bezos»

- Lorenza Cerbini

«Era l’estate di due anni fa quando mi chiamarono al telefono. Un americano stava visitando l’antico setificio fiorentino. Ero fuori città e mi dispiacque di non poter ricevere Jeff Bezos. Il fondatore di Amazon era a Firenze con la moglie e voleva rendersi conto di come vengono realizzate le nostre sete. Usiamo ancora i telai manuali del Settecento e quelli semiautoma­tici dell’ottocento. Bezos selezionò alcuni disegni per un progetto in California».

Filippo Ricci ha le idee chiare: ridare all’antico setificio fiorentino il suo posto di eccellenza nel mondo. Un’azienda, quella in piedi dal 1786, le cui fondamenta si basano sulla pazienza di maestranze che si trasmetton­o segreti di madre in figlia (oggi vi operano 13 telaiste e due meccanici). Sono produzioni limitate e personaliz­zate: dai telai semiautoma­tici escono 2500 metri di tessuto all’anno, da quelli manuali fino a 40 centimetri di broccato al giorno.

Firenze, San Frediano, quartiere ex popolare dove le botteghe artigiane si alternano alle vetrine di bar e ristoranti della moderna «movida». Il cancello dell’antico setificio si apre su un vialetto con pergolato di glicine. In fondo un antico cestello per la tintura. «È in disuso da diversi decenni — dice Ricci —. Le acque di scolo finivano in Arno, che cambiava colore, e con le leggi sull’ambiente di oggi quel cestello è decisament­e fuori norma».

Una porta a vetri immette su un salone che ospita 12 telai, alcuni hanno il nome di antiche casate. I broccatell­i vengono creati sui telai Guicciardi­ni e Corsini, i damaschi su quelli Doria.

«Una questione di storia — dice Ricci —. A metà del XVIII secolo, per far fronte alle fabbriche francesi, il granduca Pietro Leopoldo impose ad alcune famiglie fiorentine di mettere insieme le loro mac-

chine per dar vita a un laboratori­o dove venissero prodotti corredi e stoffe per gli arredi delle dimore di famiglia. Fu un successo che oggi vogliamo salvaguard­are». È dal 2009 che la famiglia Ricci (Stefano Ricci è l’azienda madre) possiede l’antico setificio. «La marchesa Pucci ci invitò a prendere un tè. Uscimmo con il Setificio. Era destinato a diventare un museo. Oggi, lo facciamo conoscere al mondo grazie a nuovi disegni e collezioni proposte ad architetti di fama internazio­nale — racconta Ricci —. Di recente, abbiamo collaborat­o alla realizzazi­one degli arredi per uno yacht super tecnologic­o di 61 metri. Un progetto che ci ha impegnati per oltre un anno. Il contrasto tra ciò che è fatto a mano e la modernità è vincente».

Broccati ed ermisini (una seta cangiante che prende forma come una scultura) made in San Frediano abbellisco­no il Cremlino, le dimore dei reali di Svezia e l’accademia di Francia a Roma («hanno impiegato due anni per studiare e decidere il colore degli arredi, un arancio tendente al rosso che solo il Setificio riesce a realizzare»).

Dai quei telai escono le sete per gli abiti da concerto di Bocelli che per la famiglia Ricci ha fatto da modello. Da testimonia­l ha fatto Nelson Mandela con le sue coloratiss­ime camicie. E proprio il Setificio ha prodotto la casula bianca usata da papa Francesco nella sua visita a Firenze. «Un regalo delle nostre maestranze», dice Ricci con l’orgoglio di chi è consapevol­e di saper «regalare sogni».

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 ??  ?? Filippo Ricci all’interno dell’antico setificio fiorentino, dal 2009 di proprietà della famiglia Ricci. Accanto, i dodici telai manuali che risalgono al 1700
Filippo Ricci all’interno dell’antico setificio fiorentino, dal 2009 di proprietà della famiglia Ricci. Accanto, i dodici telai manuali che risalgono al 1700

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