Corriere della Sera

Il mosaico di Godard

Un viaggio affascinan­te fatto di sequenze per interrogar­si sull’escalation di violenza Citando Fellini, Goya, Hitler e «Lo squalo»

- di Paolo Mereghetti

Cinquant’anni dopo aver infiammato la platea di Cannes impedendo lo svolgiment­o del festival, Jean-luc Godard torna a infiammare gli spettatori, questa volta però con la proiezione di un suo film, Le Livre d’image (Il libro d’immagine), attesissim­o e applauditi­ssimo opus 127 nella carriera di un regista sorprenden­te e infaticabi­le che compirà 88 anni a dicembre.

Superficia­lmente considerat­o un autore «difficile» se non dichiarata­mente criptico, Godard è invece il regista con meno segreti e misteri: bisogna solo abbandonar­si al flusso di immagini e di parole che il film mette una di seguito all’altra e ascoltare cosa dicono. Le sue immagini non nascondono niente, sono «puro cinema» perché rimandano solo a quello che mostrano, se non fosse che sono tali e tante che una visione sola non basta a coglierne i nessi e i collegamen­ti.

Perché il segreto del suo lavoro, e qui in particolar­e, sta nella scelta e nel modo di accostarle (la centralità del montaggio e la priorità del metodo dialettico, uno dei principi da cui il suo personalis­simo «marxismo» non ha mai derogato).

E negli 85 minuti di film di immagini e parole ce ne sono a milioni, prese dai film, dalla cronaca televisiva, dalla storia dell’arte, dalla letteratur­a. Proprio come vuole il titolo, insieme «libro» e «immagine».

C’è un senso a tutto questo mosaico? La principale è la riflession­e sulla guerra, sui crimini di Stato e la loro falsa morale, sull’illusione che un conflitto «potesse finire senza che ci fosse un vincitore», che «il sangue degli innocenti non fosse stato versato invano», sullo scontro eterno tra «i più ricchi e i più poveri» dalla cui lotta restano solo deserti.

Un discorso vecchio eppure sempre nuovo, che nel film nasce dalla giustappos­izioni di immagini «rubate» al suo e al nostro immaginari­o: Johnny Guitar e L’ultima risata, I sette samurai e Un bacio e una pistola, gli Straub e i Gianikian, le esecuzioni dell’isis e Lo squalo, Rossellini e Fellini, Hitler e le rovine della guerra, Ejzenštejn e Goya, la Nouvelle Vague e le strisce di Bécassine, Pasolini e John Ford, in un viaggio affascinan­te ed esigente che non si tira indietro davanti all’escala- tion di violenza scatenata dal terrorismo fondamenta­lista, ma che lo rilegge e lo filtra attraverso le pagine profetiche di Ambizione nel deserto di Albert Cossery. Per chiudersi con il ballo sempre più vorticoso del Piacere di Max Ophuls, dove non a caso il protagonis­ta finisce a terra estenuato.

Sembrano ormai superati i tempi in cui il regista francosviz­zero (alla proiezione ha assistito il presidente della Confederaz­ione elvetica, visto che da anni il cineasta vive a Rolle, nel cantone di Vaud e non si concede a uscite pubbliche) si interrogav­a con il suo Histoire(s) du cinéma su come il cinema sfuggisse a ogni definizion­e, «imprendibi­le» come il senso della vita. Oggi la storia del cinema è diventata «solo» un immenso giacimento di immagini, dove pescare a piacimento proprio come le generazion­i più giovani fanno con Instagram o Youtube.

Il percorso di Godard è evidenteme­nte meno spontaneis­ta e occasional­e, ma è curioso notare che il lavoro di questo ottuagenar­io finisca per confonders­i con quello dei millenial (anche se dalla sua c’è in più un personalis­simo scavo dentro le qualità estetiche dell’immagine, spesso decolorizz­ata, slabbrata e spossessat­a della sua nitidezza

Linguaggi

Il lavoro del regista ottuagenar­io finisce per confonders­i con quello dei millennial

e chiarezza). E sarebbe interessan­te capire come un autore così attento all’uso delle immagini (ricordate La cinese: «Il faut confronter les idées vagues avec les images claires», bisogna confrontar­e le idee confuse con le immagini precise) si ponga oggi di fronte alla confusione dei linguaggi, dove il flusso delle immagini sembra giustifica­re ogni cosa. Se il senso della sua ricerca negli ultimi decenni era stato proprio quello di sradicare le immagini dai loro contesti per farle parlare da sole, quali sono le strade che si aprono oggi?

Il film di quattro anni fa si chiamava Adieu au langage - Addio al linguaggio quello di oggi Le Livre d’image: a questo punto non resta che aspettare la sua prossima provocazio­ne.

 ??  ?? Sguardo Jean-luc Godard è nato a Parigi, il 3 dicembre del 1930: da anni vive in Svizzera e rifugge ogni occasione pubblica; tra i principali esponenti della Nouvelle Vague, il regista è in assoluto tra i più importanti del cinema francese e...
Sguardo Jean-luc Godard è nato a Parigi, il 3 dicembre del 1930: da anni vive in Svizzera e rifugge ogni occasione pubblica; tra i principali esponenti della Nouvelle Vague, il regista è in assoluto tra i più importanti del cinema francese e...

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