In quattro tra i primi 10, ma gli errori costano la vittoria
Quattro italiani nei primi dieci, otto nei venti. La volata calabrese del Giro 101 è un trionfo tricolore? No. Elia Viviani (secondo) sceglie la ruota sbagliata, Bonifazio (terzo) sbanda, Modolo (quarto) s’imballa, Mareczko (sesto) boccheggia. Belletti e Sbaragli sono in seconda fila, Guardini già a casa, malato, Nizzolo infortunato da mesi.
I velocisti azzurri regalano ieri a Sam Bennett la prima grande vittoria e all’irlanda un trionfo che mancava da 31 anni. «Sono alle stelle — spiega il corridore della Bora — perché così la mia carriera può cambiare».
Non cambia lo status dei nostri. Viviani a parte (stanco dopo i successi israeliani), gli eredi di Cipollini & Petacchi (64 successi rosa) sprintano con i freni tirati. Jakub Mareczko, talento vero, fatica così tanto da arrivare poco lucido in volata oltre a rischiare anche (con tutta la squadra) il fuori tempo massimo nelle tappe difficili. Come Guardini (ultima vittoria importante sei anni fa), Mareczko è tarato su gare di livello così modesto (Cina, Turchia, Marocco) che al severissimo Giro va in tilt. Il ligure Bonifazio — sfiorò la Sanremo 2015, qualcuno gridò al nuovo Cipollini — da allora ha vinto solo in Croazia e Turchia, pur sostenuto dai petrodollari della Barhain: doma l’ansia a fatica e, se c’è una sola traiettoria sbagliata, lui la sceglie.
Il veneto Modolo milita in una squadra top (Education First) da quando (era il 2015) stupì trionfando due volte al Giro. Ma da allora ha vinto solo in Turchia e Cina. Chi corre nei team piccoli non ha ritmo di gara adeguato, chi nei grandi pare aver perduto talento e ispirazione e non approfitta del Giro con pochi velocisti.
Molti azzurri non hanno capito che, nel ciclismo di oggi, il vecchio sprinter spaccone, coraggioso e un po’ bohémien fatica anche ad arrivarci, alla volata. Esami di riparazione? Imola, Nervesa della Battaglia, Iseo (forse), Roma.