Corriere della Sera

Una manovra da 100 miliardi: tutte le voci tra tagli e nuovo Fisco

- di Lorenzo Salvia

ROMA Il pacchetto economico del programma di governo di Lega e Movimento 5 Stelle costa almeno 65 miliardi di euro. Almeno, perché a seconda delle stime si può arrivare fino a 100 miliardi. La voce più corposa è la flat tax, la tassa piatta con due aliquote al 15 e al 20%. Secondo la Lega il costo netto è di 26 miliardi di euro. La cifra è un po’ ballerina perché dipende da come verrà costruito concretame­nte il meccanismo. In mancanza di dettagli molto cambia a seconda dal punto di vista.

Pochi mesi fa il servizio studi della Camera aveva stimato in 33 miliardi di euro il costo di una flat tax meno ambiziosa, quella con aliquota unica al 23% proposta da Forza Italia. Mentre qualche anno fa la relazione tecnica del ministero del Tesoro aveva indicato in 18 miliardi il costo di una flat tax ancora più prudente, quella pensata dal governo Berlusconi con due aliquote più alte, al 23% e al 33%. Il problema è quello di sempre: dove trovare i soldi. Ma anche come costruire in concreto le coperture. Nel primo anno la flat tax dovrebbe essere finanziata con un condono che consentire­bbe di chiudere i conti aperti con il Fisco pagando il 10% del dovuto. Una misura una tantum che porterebbe in dote circa 30 miliardi di euro. Nel primo anno basterebbe, sempre che funzioni. Negli anni successivi il condono verrebbe sostituito da un’altra voce: l’aumento del gettito portato dalla crescita dei consumi, spinti a loro volta proprio dal taglio delle tasse. Si resterebbe in pari, o quasi. Con un problema però.

Il minore incasso legato al taglio delle tasse sarebbe una certezza. Il maggiore incasso che lo dovrebbe compensare solo una probabilit­à. Il costo reale della flat tax, quindi, potrebbe essere più alto. Ma soprattutt­o condono e crescita non possono essere utilizzate come coperture.

Altrimenti c’è il rischio di vedersi rinviare una legge in Parlamento dal capo dello Stato, che non a caso proprio in questi giorni ha citato i precedenti nel ramo di Luigi Einaudi. La soluzione starebbe nelle clausole di salvaguard­ia, cioè un piano B pronto a scattare solo in caso di necessità. Dopo l’ampio utilizzo degli ultimi anni, l’introduzio­ne di nuove clausole di salvaguard­ia è vietata per legge. È vero che le leggi possono essere sempre cambiate. Resta il paradosso che la clausola potrebbe prendere la forma di un aumento dell’iva. E il conto potrebbe essere molto più salato di quello da 12,5 miliardi previsto per il 2019 e che deve essere disinnesca­to.

Per le coperture ci sono altre voci: almeno 20 miliardi dovrebbero arrivare dal taglio delle agevolazio­ni fiscali, comprese quelle per le ristruttur­azioni edilizie salvando però i rimborsi già in corso, una decina da nuove misure da spending review, tagli di spesa ancora da definire. Questi soldi, però, servirebbe­ro a finanziare, oltre allo stop dell’aumento dell’iva, le altre misure del pacchetto: almeno 5 miliardi per le pensioni con l’introduzio­ne di «quota 100», almeno 17 per il reddito di cittadinan­za, cominciand­o però nel 2019 con i 2 miliardi per il potenziame­nto dei centri per l’impiego. Sul punto le stime variano: di 15 miliardi ha parlato l’istat, secondo l’inps sarebbero il doppio. In caso di necessità la copertura aggiuntiva potrebbe arrivare da un aumento del deficit. L’unione Europea direbbe di no perché negli anni passati abbiamo già sfruttato tutti i margini di flessibili­tà possibili. Ma sfidare Bruxelles, per un governo Lega—m5s più che un ostacolo sarebbe una tentazione.

Le coperture Risorse da condono e crescita ma c’è il rischio di una nuova clausola di salvaguard­ia

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