Corriere della Sera

FRAGILITÀ (E DIFETTI) DI UN’INTESA

- di Pierluigi Battista

L e vicissitud­ini che dovrebbero accompagna­re il problemati­co parto di un governo tra Cinque Stelle e Lega sono riuscite a sommare due difetti tra loro opposti. Troppa lentezza, troppa farraginos­ità nelle trattative tra i due partner, incertezza, richiesta continua di proroghe, dilazioni, veti, impaludame­nti in un’intesa che non vuol farsi chiamare intesa politica (sa troppo di «inciucio», un peccato mortale nella neo-lingua oltranzist­a).

Eadesso, con l’improvviso arrivo di un documento programmat­ico lunghissim­o, iper-generico nella sua imponenza cartacea, troppa frettolosi­tà, troppa ansia di raggiunger­e un risultato per non tramortire un elettorato sempre più deluso e angosciato, con Beppe Grillo addirittur­a che nel suo blog manifesta apertament­e la propria insofferen­za per queste liturgie snervanti.

Il programma contiene di tutto, il che è abbastanza frequente nell’elaborazio­ne di progetti smisurati in cui conta di più la declamazio­ne di princìpi che non la loro realizzazi­one. Un colpo per accontenta­re gli uni, la deriva securitari­a e d’ordine sul tema dell’immigrazio­ne che è la carta d’identità leghista, e un altro per non inquietare la base Cinque Stelle, introducen­do non solo il reddito di cittadinan­za, come era scontato vista la sua centralità nel trionfo grillino specialmen­te al Sud, ma anche la legge sul conflitto di interessi, il drappo rosso da agitare per accontenta­re la platea. Eppure, emana da quelle pagine qualcosa di irresistib­ilmente artificios­o, poco convincent­e. I due contraenti di Lega e Cinque Stelle richiamano legittimam­ente l’esperienza tedesca, la lunga negoziazio­ne tra il partito di Angela Merkel e dei socialdemo­cratici. Ma dovrebbero chiedersi perché a nessuno verrebbe in mente di dubitare della serietà del programma tedesco, mentre è così facile dubitare della serietà di quello italiano. Per tre ragioni. Una è l’individuaz­ione, nel documento tedesco, di alcuni punti irrinuncia­bili, pochi ma qualifican­ti: in quello italiano presentato ieri, tanti, generici e vaghi. La seconda è che la distanza tra il partito della Merkel e quello socialdemo­cratico è di molto inferiore a quella che ancor oggi divide i 5 Stelle e la Lega, malgrado la comune propension­e «populista» e anti-euro. La terza è che l’elaborazio­ne del programma in Germania fa tutt’uno con l’individuaz­ione della squadra che dovrebbe realizzarl­o, a cominciare dalla figura del capo del governo, Angela Merkel appunto.

Questa idea che si può tranquilla­mente fare a meno dei nomi di un governo, questione spinosa da rimandare all’infinito o architetta­ndo marchingeg­ni istituzion­ali che sfiorano il ridicolo, a cominciare

L’intesa

I punti dell’accordo tra le forze politiche e il ruolo dell’esecutore

dalla loro grottesca denominazi­one, è uno dei frutti del semplicism­o grillino che considera le persone meri esecutori di un meccanismo impersonal­e e astratto. Ma che si raggiunga un’intesa senza avere la minima idea della leadership che dovrebbe incarnarla conferisce alla gestazione del documento programmat­ico qualcosa di irreale e di decisament­e poco credibile, come se davvero nelle prossime ventiquatt­r’ore si potesse trovare una soluzione vanamente inseguita in due mesi. È sbagliato liquidare con sarcasmo quello che sta accadendo, perché la formazione di un nuovo governo uscito dal risultato travolgent­e del 4 marzo è un’impresa difficilis­sima, complicata, quasi una missione impossibil­e. Ma la faciloneri­a con cui queste difficoltà vengono affrontate non promette nulla di buono. Per ora.

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