Corriere della Sera

L’autore: «Alla fine porto sempre qui le mie favole nere»

- Valerio Cappelli

CANNES Davide porta sulle sue spalle Golia, come Cristo porta la croce. La vittima è un ex pugile grande e grosso che lo vessava da una vita. Matteo Garrone ha trovato il suo Davide in un centro sociale occupato. Piccolo come un fantino, Marcello Fonte, 39 anni, calabrese, faceva il guardiano di uno spazio dove recitavano ex detenuti: «Mi ricorda Buster Keaton. Ha un volto antico di un’italia che scompare». Prende il cellulare: «Guardate questa foto». Mostra Marcello con Leonardo Dicaprio a Cinecittà sul set di Gangs of New York: «Gliel’ha fatta fare a Daniel Day-lewis senza sapere chi fosse. Marcello è emotivo, istintivo, l’ho conosciuto che stava con una donna che l’ha mollato per diventare suora, lui andava davanti al convento con la scritta ti amo. La scena in cui sfama un cane e mangia con le mani dalla stessa ciotola dicendo: un boccone a te e uno a me, non era prevista». Questa storia, ispirata al Canaro Pietro De Negri e ambientata in uno spazio metafisico, ronzava nella testa di Matteo da 12 anni: «Alcune cose mi affascinav­ano e altre mi allontanav­ano, come la parte più violenta della tortura, splatter e sanguinole­nta. Poi il buono che si trasforma in mostro, l’idea della vendetta, l’avevamo già vista al cinema, Un borghese piccolo piccolo, Cane di Paglia… Però è una storia che in 12 anni è cambiata, come sono cambiata io. Il fatto vero è solo uno spunto, ho preso una direzione autonoma. Lo spettatore ideale di questo film è quello che non sa nulla. Il legame è col cinema muto e col western. Siamo in un villaggio di frontiera che diventa metafora di un luogo sacro. Il film ha una sua vena religiosa». Garrone dice che in fondo, a Cannes, da Gomorra a Basile e Dogman, porta sempre favole nere.

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