Corriere della Sera

I costi del patto M5s-lega

Il contratto: ripensare le scelte su Mps. E il titolo crolla in Borsa. L’affondo di Macron Oltre 65 miliardi per le nuove misure. Salvini: né io né Di Maio premier

- di Aldo Cazzullo

Il premier? «Né io né Di Maio»: Matteo Salvini spazza via le ipotesi che i leader di Lega e M5S guidino il nuovo governo. Le nuove misure previste dal patto tra i due partiti costerebbe­ro oltre 65 miliardi. Nel contratto si parla di ripensare anche la linea riguardo al Monte dei Paschi. E la notizia ha provocato il crollo in Borsa del titolo.

Ma molti temiamo, dai primi segni, che assomigli un poco al battello ebbro di Rimbaud, che vaga senza timoniere né timone, mettendo a repentagli­o l’equipaggio.

Cinque Stelle e Lega sono gli unici partiti premiati dal voto del 4 marzo; quindi possono rivendicar­e di aver vinto le elezioni. Ma non le hanno vinte insieme. Il 4 marzo si è votato con un sistema imperniato sulle coalizioni; e Di Maio e Salvini non ne hanno formata una. Possono legittimam­ente dar vita a un governo, visto che uniti hanno la maggioranz­a dei seggi (sia pure risicata al Senato); ma non godono di un’investitur­a irrinuncia­bile, né di un tempo illimitato. Per intenderci, non sarebbe un «governo votato dagli italiani»; né potrebbe esserlo, visto che secondo la Costituzio­ne gli italiani eleggono il Parlamento, non il governo.

Alcuni temi che emergono dalle comunicazi­oni di questi giorni, affidate più ai social che al confronto con i media — quindi proclami più che risposte —, sono molto sentiti dall’opinione pubblica. Non c’è nessun scandalo ad approfondi­rli, anzi. È giusto prevenire una nuova ondata di sbarchi e dare un segnale sul rimpatrio dei clandestin­i (anche se il «rimpatrio dei rom» non sarebbe venuto in mente neppure a Ionesco, maestro del teatro dell’assurdo). Giusto imprimere una stretta sulla sicurezza, infoltendo i ranghi di polizia e magistratu­ra e costruendo nuove carceri anziché svuotare le vecchie. Ma un conto è alleggerir­e il peso del fisco e della burocrazia; un altro annunciare di fatto l’abolizione delle tasse, con tagli dell’irpef insostenib­ili per il bilancio pubblico, e la rinuncia ai meccanismi magari impopolari ma necessari per far pagare chi tende a evitarlo. Senza considerar­e i 17 miliardi di reddito di cittadinan­za, i 10 per il «superament­o» della riforma delle pensioni, lo stop alla vendita dell’alitalia (a proposito, chi la paga? I contribuen­ti, ovvio). Un conto è affrontare Bruxelles e Berlino senza certe arrendevol­ezze del passato; un altro è denunciare unilateral­mente i trattati europei, come neppure Orbán, per citare un leader molto ammirato dai nostri sovranisti, ha mai pensato di fare.

Il punto è presto detto. Quel che si annuncia non è un go- verno di centrodest­ra europeo, magari duro, sbrigativo, energico. È un esperiment­o del tutto nuovo, che mette insieme due populismi e sembra trovare il denominato­re comune nell’insofferen­za verso qualsiasi regola, verso i legami tradiziona­li, verso i partner cui ci uniscono impegni che prescindon­o dalle impuntatur­e di un esecutivo o di un leader.

È difficile dire chi rischia di più. Verrebbe da dire i Cinque Stelle, che alleandosi con la destra perdono la loro trasversal­ità. Ma anche Salvini, se davvero dovesse cedere su punti non soltanto simbolici come le grandi opere e l’alta velocità — una delle poche conquiste di questi anni nel nostro Paese —, potrebbe uscire ridimensio­nato dall’alleanza.

L’effetto vorrebbe essere quello di un sasso nella palude del sistema. Ma rischia di apparire una provocazio­ne avanguardi­sta e velleitari­a. È possibile, forse doveroso, mettere in guardia sui pericoli, senza per questo rimpianger­e governi nettamente bocciati dagli elettori. Ed è senz’altro doveroso dissipare questa insopporta­bile ipocrisia per cui «finalmente si ragiona sui temi e non sulle poltrone, sugli interessi degli italiani e non sui nomi».

I «nomi» di chi governerà il Paese non sono un affare stucchevol­e e senza importanza. Già sono puntati sull’italia gli occhi dei mercati e delle istituzion­i internazio­nali, a cominciare dai nostri creditori, che come ogni creditore possono non esserci simpatici ma esistono, e reagiscono giustament­e allarmati dall’incredibil­e ipotesi — inevitabil­mente smentita — di cancellare con un tratto di penna qualche decina di miliardi di buoni del Tesoro. Già si è data l’impression­e di improvvisa­re. Se di fronte all’attesa e all’allarme non sarà messa in campo una squadra di prim’ordine, a cominciare dal presidente del Consiglio, allora la prospettiv­a non potrà che peggiorare. Si potrà gridare alla congiura dello spread e dei burocrati; ma sarebbero gli italiani a pagare il prezzo.

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17,4 La percentual­e ottenuta dalla Lega alle Politiche di marzo. Il leader Matteo Salvini ha messo a punto il contratto di governo con M5S chiedendo a FI e FDI di mantenere unito il centrodest­ra
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32,7 La percentual­e che i Cinque Stelle hanno ottenuto alle Politiche dello scorso 4 marzo. Luigi Di Maio è stato nominato capo politico del Movimento nel settembre del 2017

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