Corriere della Sera

La linea della leggerezza

L’asse M5s-lega: spese in deficit, archiviamo l’austerità

- di Massimo Franco

La voglia di mani libere all’estero fa temere un «effetto Varoufakis». Il dogma M5s-lega «spese in deficit, archiviamo l’austerità» preoccupa l’europa.

Si potrebbe chiamare «strategia della leggerezza» in materia di conti pubblici. Un approccio fiducioso, quasi fideistico, qualcuno direbbe «naif», sulla possibilit­à di convincere l’europa che un’italia determinat­a a spendere in deficit va sostenuta. E in prospettiv­a si risollever­à. Lo psicodramm­a che Movimento Cinque Stelle e Lega stanno rappresent­ando sul loro «contratto» sembra avere due pubblici paralleli. Uno è quello dei protagonis­ti, che annuisce e si compiace a ogni minaccia di scontro e di trattativa «pugni sul tavolo» con le istituzion­i europee. L’altro è il pubblico che assiste a una marcia di avviciname­nto al governo con una miscela di incredulit­à e sconcerto per la faciloneri­a dell’approccio ai problemi. E spera sia una pantomima destinata a finire nell’impatto con la realtà.

Eppure, per ora la realtà sembra un concetto astratto, comunque adattabile alle circostanz­e. Il rispetto dei trattati, l’attenzione nervosa degli investitor­i esteri, le reazioni degli altri Paesi europei vengono osservati come un rumore di fondo che in qualche modo verrà cancellato. «Non possiamo morire di austerità. E l’europa ci deve dare una mano. Ci devono lasciare provare, altrimenti ci diremo sempre che poteva funzionare e non ce l’hanno fatto fare. Sappiamo che dovremo discuterne con Bruxelles, e che qualcuno si arrabbierà, nell’europa del Nord, in Germania. Ma noi siamo stati votati dal popolo». È questo il mantra ripetuto quasi come un esorcismo. Mostra un’italia grillina e leghista ripiegata su se stessa e prigionier­a di una visione che rischia di essere smentita nei mesi a venire.

L’ipotesi di affidare a due «tecnici» i ministeri degli Esteri e dell’economia potrebbe essere un argine contro eventuali deragliame­nti del governo nascente. È difficile, però, che diventino una barriera efficace se l’esecutivo deciderà di applicare il «contratto» che sta prendendo confusamen­te forma: nonostante il ruolo di garanzia del capo dello Stato, Sergio Mattarella, riconosciu­to ieri anche dal presidente francese Macron. L’accenno a un’uscita dall’euro, poi scomparso, ha seminato allarme. Quanto ai 250 miliardi di euro di debito da cancellare, viene sottovalut­ata la prospettiv­a di un’implosione del sistema bancario italiano. La parola d’ordine dei contraenti è un «no all’austerità» legittimat­o, a loro dire, dal voto popolare. E ha come corollario la richiesta di avere mano libera, o quasi, sulla spesa pubblica per almeno un paio d’anni.

«Perché Francia e Germania sì e noi no? Tanto, il debito pubblico è cresciuto anche in questa fase di sacrifici che hanno solo impoverito l’italia», è la tesi. Non è un problema di «barbari» contro popoli civilizzat­i, come sostiene il Financial Times sorvolando sulla «barbarie» della Brexit inglese. Ma certo è una questione di tenuta dei conti pubblici, che si riflette sull’intera Unione Europea. È il tema del governo dell’immigrazio­ne sul quale l’italia rischia non di presidiare i confini, ma di isolarsi con un carico crescente di disperati, aiutata ancora meno di prima dall’ue. In privato, le ambasciate occidental­i spiegano di temere l’inesperien­za della classe dirigente dei Cinque Stelle, e le inclinazio­ni filorusse della Lega: saldate da un euroscetti­cismo che sembrava essersi attenuato almeno nel M5S.

Le inquietudi­ni sono legittimat­e dallo «stop immediato alle sanzioni contro la Russia», contenuto nel programma; e dall’«apprezzame­nto» arrivato ieri da «fonti vicine al Cremlino» per gli «sforzi» di Lega e M5S. La bozza parla anche di «rivalutare la presenza dei contingent­i italiani nelle singole missioni internazio­nali, distanti dall’interesse nazionale». Il Wall Street Journal ha chiosato il documento Di Maio-salvini sostenendo che in passato «avrebbe fatto crollare i mercati. Ora invece c’è solo lo stupore degli investitor­i». E così, mentre sull’asse Roma-milano la trattativa prosegue in una bolla di pericolosa autorefere­nzialità, si parla di un’italia che rischia l’«effetto Yanis Varoufakis».

Il Globalist, un sito statuniten­se attento ai trend del potere globale, evoca il ministro delle Finanze greco identifica­to col disastro che nel 2015 portò alla chiusura delle banche in Grecia; e a una dolorosa richiesta d’aiuto alle autorità finanziari­e internazio­nali. «Con una crescita del debito pubblico italiano, diciamo al 145 per cento del Pil», scrive il Globalist, «con la recessione e gli investitor­i in fuga, un’italia governata da populisti inesperti potrebbe trovarsi in una crisi debitoria entro il 2022». E ogni tentativo di «ricattare i partner europei perché tollerino gli eccessi italiani, potrebbe ritorcersi contro Roma». Magari si tratta solo di previsioni di uccelli del malaugurio. E alla fine non si farà neanche il governo. Ma certi segnali meritano almeno un po’ di attenzione, per evitare che il 2022 arrivi prima.

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