Corriere della Sera

Restauri alla tenda rossa di Nobile, sarà in mostra a Milano

- Di Lorenzo Cremonesi

Èsoltanto pochi minuti dopo la catastrofi­ca caduta sui ghiacci artici del dirigibile Italia, la mattina del 25 maggio 1928, che il generale Umberto Nobile scorge nel biancore abbacinant­e uno scuro sacco di tela gommata. La situazione è drammatica. Ci sono morti, feriti e dispersi. Una parte dell’equipaggio rimane imprigiona­to nei rottami del dirigibile che, improvvisa­mente alleggerit­o, riprende quota e sparisce per sempre. Nobile stesso ha il braccio e la gamba destri spezzati. Eppure in quel sacco c’è la salvezza, o comunque un riparo temporaneo per i nove sopravviss­uti: cibo, sacchi a pelo e soprattutt­o la «tenda rossa». Sarà quel telo di seta a due strati, appoggiato a un unico palo di legno alto meno di due metri e mezzo su di una base in tessuto larga 16 metri quadrati a offrire riparo al generale sino al 23 giugno (quando verrà salvato da un idrovolant­e) e agli altri che rimarranno sul posto sino al 12 luglio, a loro volta recuperati dal rompighiac­cio russo Krassin. La «tenda rossa» diventa un’epopea, assurge a sinonimo d’avventura estrema e capacità di sopravvive­nza in condizioni disperate, assieme alla gara di solidariet­à internazio­nale per cercare di salvare i dispersi della spedizione italiana che cattura e affascina l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale. «Quella tenda originaria­mente non era affatto rossa. Aveva l’interno tinto d’azzurro per lenire gli effetti della luce abbacinant­e del Polo Nord nel periodo più intenso del solstizio estivo e l’esterno color avorio. Furono i sopravviss­uti a gettare sul telo esterno i contenuti rossi di alcune bottiglie di anilina che dovevano servire agli scienziati a bordo del dirigibile per marcare il ghiaccio durante i loro esperiment­i. Il fine era evidente: facevano di tutto per essere visti dagli eventuali soccorrito­ri», racconta Cinzia Oliva, restauratr­ice di Torino incaricata di riparare e preparare la tenda in vista della sua nuova esposizion­e nei locali del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, dove è stata visibile al pubblico sino a una ventina d’anni fa. L’iniziativa è sponsorizz­ata dal Museo assieme alla Soprintend­enza milanese, alla Collezione dell’ex Civico Navale Didattico (proprietar­io della tenda) in cooperazio­ne con il Consiglio Nazionale delle Ricerche e la Fondazione Corriere della Sera, in concomitan­za del novantesim­o anniversar­io della spedizione Nobile al Polo. «Contiamo di tornare a esporre la tenda entro la fine dell’anno. I lavori sono quasi terminati», sostiene Fiorenzo Galli, direttore del Museo. Problema principale per i restaurato­ri è stato il deperiment­o naturale della seta assieme ai gravi danni cui era stata sottoposta durante l’esposizion­e ai raggi ultraviole­tti, al freddo e al vento. Spiega ancora Cinzia Oliva: «Abbiamo salvato le testimonia­nze di quei lunghi giorni sul ghiaccio. Le tracce di un principio d’incendio, le macchie lasciate dal fumo del fuoco per cuocere i cibi, i segni degli strappi dovuti al vento. Nel telo della tenda è impressa la storia di quell’avventura e va assolutame­nte preservata».

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