Corriere della Sera

La rivolta del bambino

L’autrice libanese in gara con «Capharnaüm», il protagonis­ta è un profugo siriano Labaki, film su un ragazzino che processa i genitori «Una vita di miserie, perché mi avete fatto nascere?»

- DA UNO DEI NOSTRI INVIATI Valerio Cappelli

Un bambino ci guarda. E accusa: «Non ti ho chiesto io, di venire al mondo». Con queste parole lui, arrestato per aver accoltella­to l’uomo a cui i genitori hanno venduto la sorellina, vuol portare padre e madre in tribunale. Il film è una lotta per la sopravvive­nza e sull’infanzia rubata. La regista Nadine Labaki racconta che a Beirut ha una lavagna, ed è lì che butta giù col gessetto di spunti per i suoi progetti. «Alla fine era un mucchietto di idee confuse, i migranti, i bambini maltrattat­i, la nozione di confini e la loro assurdità…» Da qui è nato il titolo e il senso del film Capharnaüm, accolto da applausi.

Cafarnao è il luogo in Galilea dove Gesù teneva le prime prediche, nel tempo sono scaturiti tanti significat­i figurati ed è ciò che ha fatto la regista libanese (dopo l’esordio fenomenale con Caramel, è per la terza volta a Cannes, la prima in gara). Il suo protagonis­ta si chiama Zain Al Rafeea, Nadine gli ha lasciato il suo vero nome. «È siriano, è stato privato dei diritti più elementari, come quello allo studio. Non ha documenti, quindi sul piano legale, come avviene nel film, lui non esiste. Vive in Libano, si arrangia con lavoretti, sogna di aprire un negozio per la vendita di piccioni». Tutti non attori profession­isti che recitano se stessi, anche il giudice è un vero giudice, lei si è ritagliata un piccolo ruolo. Lo sguardo del bambino dice tutto, è intenso, sembra dirci: non siete voi che mi cacciate, sono io che vi chiedo di rimanere, come imputati. «Lui chiede amore e accusa chi non può crescerlo, diventa il grido di coloro che sono trascurati dalla società così com’è organizzat­a, il film è un’accusa universale attraverso occhi candidi e il suo gesto estremo di rivolgersi alla cor- te è simbolico per tutti i bambini».

Così Nadine si aggiunge alla lista di chi a Cannes punta il dito e sposa una causa: le soldatesse curde di Eva Husson, gli afro-americani di Spike Lee… «Credo nel potere del cinema, sono un’idealista convinta che i film possono se non altro suscitare un dibattito, o spingere la gente a pensare. Ho scelto questo mestiere come un’arma. Per una volta, non ho voluto il lieto fine: spero che avvenga nella vita vera dei miei protagonis­ti».

Nadine, una affascinan­te donna di 44 anni, dopo le ricerche nei campi profughi, sul set indossava una specie di divisa, portava il berretto verde, più simile a un elmetto, memore della sua adolescenz­a a Beirut, quando «non si poteva uscire di casa, non si poteva giocare o andare a scuola. Bombe, autobombe. L’unica fuga era la tv, la mia vita si svolgeva attraverso quelle immagini». A Beirut, sotto casa, durante la guerra c’era un piccolo negozio di videocasse­tte dove passava il tempo per superare la noia di giornate tutte uguali. «E’ così che ho scoperto Fellini e gli altri maestri, vedevo film belli e brutti, mi inebriavo di immagini». Con leggerezza e poesia, è la paladina delle donne che nella sua regione vengono offese e umiliate: «Siamo cresciute col senso della vergogna inculcato dagli uomini». Nadine racconta le donne nella loro quotidiani­tà, segnata dallo sguardo maschile di un passante, di un parente. Anche qui ne troviamo una, Yordanos Shiferaw: «E’ eritrea, morti i genitori è vissuta in un campo di rifugiati. Pulisce le scarpe per strada. Come accade al suo personaggi­o, è stata arrestata come migrante clandestin­a».

Dopo il musical E ora dove andiamo?, dove con lo humour le donne salvano gli uomini dalla violenza innescata da un conflitto religioso, Hollywood l’ha chiamata. «Ma non c’è una storia che mi piace, poi ti chiudono in un cliché, la danzatrice del ventre… Voglio raccontare storie di persone semplici della mia terra. Il mio grilletto è il bisogno di accendere un riflettore vivo, crudo sul volto nascosto di Beirut». Il suo cinema è un’arma: ma un’arma di pace.

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Smarrito Zain Al Rafeea, protagonis­ta di «Capharnaum» con la regista Nadine Labaki. «È siriano, è stato privato dei diritti più elementari, come quello allo studio», spiega l’autrice libanese
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A destra il piccolo Zain Al Rafeea durante le riprese di «Capharnaum» ieri in concorso al Festival di Cannes
Solitudine A destra il piccolo Zain Al Rafeea durante le riprese di «Capharnaum» ieri in concorso al Festival di Cannes
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