L’ira del Cavaliere: tradimento sulla giustizia
Se l’ologramma del centrodestra sta per dissolversi non è per via delle divergenze sulla giustizia e sul conflitto d’interessi tra Salvini e Berlusconi. Ma non c’è dubbio che questi due temi hanno impresso un’accelerazione al divorzio tra Lega e Forza Italia.
Tra i leader dei due partiti, che formalmente sono ancora coniugi all’anagrafe politica, sono volati i piatti l’altro giorno, quando il Cavaliere ha chiesto all’alleato la prova d’amore. Cioè la visione anticipata del «contratto» che il capo del Carroccio stava redigendo insieme ai Cinquestelle. Più precisamente voleva leggere i capitoli relativi alla giustizia e al conflitto d’interessi, e la richiesta era stata accordata senza alcun problema. È stato poi il diniego a correggere quei due capoversi a scatenare la lite tra i «consorti», siccome Berlusconi l’ha interpretato come la prova dell’infedeltà di Salvini al vincolo dell’alleanza, perché — a suo dire — il partner stava assecondando «un progetto giustizialista che è ispirato dalla magistratura politicizzata»: «Non capisci che dietro i grillini c’è Davigo?».
Sarebbe però un errore immaginare che la separazione sta maturando per questo motivo: sono le aspettative ad essere diverse. L’idea che Salvini possa accettare l’invito di Berlusconi a «tornare indietro» per «tornare al voto insieme», e diventare così premier del centrodestra dopo la vittoria, confligge con il progetto del segretario leghista che non crede più né alla coalizione né alle promesse: «Se facciamo il governo con i Cinquestelle, governiamo. Se non facciamo il governo, chi ce lo dice che votiamo? Finisce che ci ritroviamo con un Monti qualsiasi per i prossimi due anni. E addio».
Ogni motivazione nasconde una scusa, e questa scusa cela il disegno ambizioso di Salvini. Che vuole cogliere l’attimo per sfruttare a proprio vantaggio la disarticolazione del centrodestra grazie anche al controllo di quasi tutto il Nord. Che non intende lasciare il tempo agli azzurri e ai democratici di unire le forze per reagire. Che nel giro di due anni mira a intestarsi il superamento del berlusconismo e pareggiare nei consensi il movimento grillino. Dall’altra parte il Cavaliere scommette sul fallimento del governo giallo-verde, presidia il campo dove potrebbe nascere l’alternativa al fronte populista, e garantisce il proprio endorsement a un futuro leader di una nuova coalizione.
L’ologramma non poteva durare a lungo, infatti è svanito: Salvini si prepara ad unirsi con Di Maio. Quella che appare adesso è una sorta di Pangea della politica, un mondo nuovo e non ancora delineato dalle scosse che di qui in avanti si susseguiranno. Ma se il contratto tra M5S e Lega è davvero «di legislatura», se l’accordo a due prevede anche la «non belligeranza» alle prossime Amministrative, se insieme alla quotidianità nella gestione del governo e del potere si aggiunge l’intesa sul futuro commissario europeo, allora è chiaro che «le larghe intese populiste» — come le ha definite Carlo Fusi sul Dubbio — si propongono di diventare un «Polo populista».
L’ha spiegato Giorgetti a quanti nel Carroccio vivono questa fase tra tormenti e dubbi: «Il sistema si sta evolvendo. Perciò attenzione a ragionare con le vecchie categorie della politica. Anche se oggi non si può vedere con chiarezza quale possa essere l’approdo, è certo che si sta andando in quella direzione. La storia si incaricherà di decidere quale sarà la posizione della Lega nel nuovo scacchiere». Che poi tormenti e dubbi appartengono a tutto il gruppo dirigente, a partire da Salvini, che vede le differenze coi grillini e ammette le diffidenze verso chi potrebbe rivelarsi inesperto e inaffidabile: «Ma tornare indietro sarebbe peggio. Perciò mettiamoci d’impegno e nel governo tutti dentro. Nessuno può tirarsi indietro, me compreso: sarebbe indice di debolezza».
Manca un passo. Se verrà fatto, è certo — come sostiene Giorgetti — che «Forza Italia ci addosserà la responsabilità della rottura». Ciò che preoccupa il leader della Lega non è tanto che «Berlusconi ci metterà contro i suoi giornali e le sue tv»: «Abbiamo tutti contro». E per tutti intende il Colle, l’europa e gli Stati Uniti. Il Cavaliere ha chiesto a Tajani di far intervenire gli amici europei con dichiarazioni pubbliche. Giorgetti invece ha fatto l’ambasciatore presso le ambasciate, quella americana, quella tedesca e persino quella della Santa Sede, avvertendo che nei posti chiave del governo — come Esteri ed Economia — siederanno «personalità di garanzia». Lui stesso farà da mediatore con Berlusconi per rendere il divorzio meno rumoroso, se davvero prenderà la delega della «golden power» che consente al governo di avere voce in vicende delicate come l’affaire Tim—vivendì. Tocca a Salvini ora: può far nascere la Terza Repubblica o può andarsi a schiantare.
Il polo
Lo scenario di un polo «populista». Giorgetti ai suoi: le categorie della politica cambiano