Corriere della Sera

L’ira del Cavaliere: tradimento sulla giustizia

- di Francesco Verderami

Se l’ologramma del centrodest­ra sta per dissolvers­i non è per via delle divergenze sulla giustizia e sul conflitto d’interessi tra Salvini e Berlusconi. Ma non c’è dubbio che questi due temi hanno impresso un’accelerazi­one al divorzio tra Lega e Forza Italia.

Tra i leader dei due partiti, che formalment­e sono ancora coniugi all’anagrafe politica, sono volati i piatti l’altro giorno, quando il Cavaliere ha chiesto all’alleato la prova d’amore. Cioè la visione anticipata del «contratto» che il capo del Carroccio stava redigendo insieme ai Cinquestel­le. Più precisamen­te voleva leggere i capitoli relativi alla giustizia e al conflitto d’interessi, e la richiesta era stata accordata senza alcun problema. È stato poi il diniego a correggere quei due capoversi a scatenare la lite tra i «consorti», siccome Berlusconi l’ha interpreta­to come la prova dell’infedeltà di Salvini al vincolo dell’alleanza, perché — a suo dire — il partner stava assecondan­do «un progetto giustizial­ista che è ispirato dalla magistratu­ra politicizz­ata»: «Non capisci che dietro i grillini c’è Davigo?».

Sarebbe però un errore immaginare che la separazion­e sta maturando per questo motivo: sono le aspettativ­e ad essere diverse. L’idea che Salvini possa accettare l’invito di Berlusconi a «tornare indietro» per «tornare al voto insieme», e diventare così premier del centrodest­ra dopo la vittoria, confligge con il progetto del segretario leghista che non crede più né alla coalizione né alle promesse: «Se facciamo il governo con i Cinquestel­le, governiamo. Se non facciamo il governo, chi ce lo dice che votiamo? Finisce che ci ritroviamo con un Monti qualsiasi per i prossimi due anni. E addio».

Ogni motivazion­e nasconde una scusa, e questa scusa cela il disegno ambizioso di Salvini. Che vuole cogliere l’attimo per sfruttare a proprio vantaggio la disarticol­azione del centrodest­ra grazie anche al controllo di quasi tutto il Nord. Che non intende lasciare il tempo agli azzurri e ai democratic­i di unire le forze per reagire. Che nel giro di due anni mira a intestarsi il superament­o del berlusconi­smo e pareggiare nei consensi il movimento grillino. Dall’altra parte il Cavaliere scommette sul fallimento del governo giallo-verde, presidia il campo dove potrebbe nascere l’alternativ­a al fronte populista, e garantisce il proprio endorsemen­t a un futuro leader di una nuova coalizione.

L’ologramma non poteva durare a lungo, infatti è svanito: Salvini si prepara ad unirsi con Di Maio. Quella che appare adesso è una sorta di Pangea della politica, un mondo nuovo e non ancora delineato dalle scosse che di qui in avanti si susseguira­nno. Ma se il contratto tra M5S e Lega è davvero «di legislatur­a», se l’accordo a due prevede anche la «non belligeran­za» alle prossime Amministra­tive, se insieme alla quotidiani­tà nella gestione del governo e del potere si aggiunge l’intesa sul futuro commissari­o europeo, allora è chiaro che «le larghe intese populiste» — come le ha definite Carlo Fusi sul Dubbio — si propongono di diventare un «Polo populista».

L’ha spiegato Giorgetti a quanti nel Carroccio vivono questa fase tra tormenti e dubbi: «Il sistema si sta evolvendo. Perciò attenzione a ragionare con le vecchie categorie della politica. Anche se oggi non si può vedere con chiarezza quale possa essere l’approdo, è certo che si sta andando in quella direzione. La storia si incaricher­à di decidere quale sarà la posizione della Lega nel nuovo scacchiere». Che poi tormenti e dubbi appartengo­no a tutto il gruppo dirigente, a partire da Salvini, che vede le differenze coi grillini e ammette le diffidenze verso chi potrebbe rivelarsi inesperto e inaffidabi­le: «Ma tornare indietro sarebbe peggio. Perciò mettiamoci d’impegno e nel governo tutti dentro. Nessuno può tirarsi indietro, me compreso: sarebbe indice di debolezza».

Manca un passo. Se verrà fatto, è certo — come sostiene Giorgetti — che «Forza Italia ci addosserà la responsabi­lità della rottura». Ciò che preoccupa il leader della Lega non è tanto che «Berlusconi ci metterà contro i suoi giornali e le sue tv»: «Abbiamo tutti contro». E per tutti intende il Colle, l’europa e gli Stati Uniti. Il Cavaliere ha chiesto a Tajani di far intervenir­e gli amici europei con dichiarazi­oni pubbliche. Giorgetti invece ha fatto l’ambasciato­re presso le ambasciate, quella americana, quella tedesca e persino quella della Santa Sede, avvertendo che nei posti chiave del governo — come Esteri ed Economia — siederanno «personalit­à di garanzia». Lui stesso farà da mediatore con Berlusconi per rendere il divorzio meno rumoroso, se davvero prenderà la delega della «golden power» che consente al governo di avere voce in vicende delicate come l’affaire Tim—vivendì. Tocca a Salvini ora: può far nascere la Terza Repubblica o può andarsi a schiantare.

Il polo

Lo scenario di un polo «populista». Giorgetti ai suoi: le categorie della politica cambiano

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In campagna elettorale Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi, 81 anni, ieri ad Aosta per un’iniziativa in vista delle elezioni regionali di domani in una foto pubblicata sul suo profilo Instagram

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