Corriere della Sera

«Al fine di...» Il burocratic­o contratto movimentis­ta

- di Giuseppe Antonelli

Quando si seppe che Salvini e Di Maio avrebbero prodotto un documento congiunto, il primo pensiero fu: meglio congiunto che congiuntiv­o. I trascorsi grammatica­li sono quello che sono. Invece, presentand­osi come contratto, questo testo è scritto in un italiano più burocratic­o che movimentis­ta, più da leguleio che da leghista. «Per quanto concerne», «al fine di», «addivenire», «decisore», «problemati­ca». L’italiano contratto di Lega e Cinquestel­le suona qui come l’antilingua di cui parlava Calvino: quella di chi non sa dire «ho fatto», ma deve dire «ho effettuato». (Forse a questo serviva il video di Grillo che apre la scatoletta di tonno e torna a dire le parolacce: a ricordarci che quando c’era lui la volgare eloquenza era tutta un’altra cosa). «Le parti concordano sulla necessità di effettuare una verifica», «in tale ottica», «a valle di». E poi un bel po’ di inglesorum: non solo dumping, rating o stalking, ma anche housing, machines gambling, transhipme­nt e lo «switch intermodal­e». Periodi sintattici lunghi, costruzion­i impersonal­i («è necessario» torna 67 volte in 50 pagine), nomi astratti al posto di verbi concreti (erogazione, allocazion­e, trattenime­nto). «Per quanto riguarda le politiche sul deficit si prevede, attraverso la ridiscussi­one dei Trattati dell’ue e del quadro normativo principale a livello europeo, una programmaz­ione pluriennal­e volta ad assicurare il finanziame­nto delle proposte oggetto del presente contratto attraverso il recupero di risorse derivanti dal taglio agli sprechi, la gestione del debito e un appropriat­o e limitato ricorso al deficit». Nessuna cifra, nessun riferiment­o specifico. E una scrittura che va contro tutti i criteri di quello che gli anglosasso­ni chiamano plain language: un linguaggio piano, cioè senza asperità, semplice e soprattutt­o chiaro. Per carità, molti politici hanno scritto e scrivono ancora così. Quello che qui colpisce è l’atteggiame­nto bifronte: l’aggressivi­tà turpiloque­nte del parlato e la passività burocratiz­zante dello scritto. Forse il cambiament­o di cui si parla nel titolo è proprio questo: dal vaffa al vacuo.

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