I condannati? Ricandidati Vota la Valle d’aosta dell’autonomia «malata»
Il peso delle inchieste: coinvolti 25 consiglieri uscenti su 35
AOSTA La Valle d’aosta, siccome immobile. Negli ultimi cinque anni ci sono state soltanto sei maggioranze e quattro presidenti diversi con ribaltoni e controribaltoni diretta conseguenza di inchieste sul Casinò di Saint Vincent, sui rimborsi, sulla Banca di credito cooperativo, sul Forte di Bard. Per un totale di 25 consiglieri su trentacinque della passata legislatura indagati, rinviati a giudizio o condannati.
All’idilliaco quadro di buon governo diffuso bisogna aggiungere il giallo dei 25.000 euro ritrovati nel fondo della scrivania dell’ex sempiterno presidente Augusto Rollandin, che sono valsi al suo successore ed ex alleato Pierluigi Marquis una accusa di calunnia per la partecipazione al presunto complotto, e infine la Corte dei conti che ha imposto il sequestro cautelativo dei beni di 22 tra consiglieri presenti e passati per aver causato un danno patrimoniale da 140 milioni alla regione facendo arrivare in ogni modo possibile, «in evidente violazione di ogni divieto europeo e nazionale, ignorando del tutto i fondamentali canoni dell’efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa», contributi a getto continuo al Casinò della Vallée, inaugurato nel 1947 come primo atto dell’autonomia appena ottenuta, che all’epoca della dolce vita piaceva tanto a Federico Fellini e Vittorio Gassman ma oggi se la passa male da morire o quasi.
Ma tranquilli, non è successo niente. Sui tabelloni elettorali di piazza Chanoux i nomi sono sempre quelli. Ci sono persino consiglieri già condannati e in odor di legge Severino, ma intanto si candidano. Non ci sono nomi, e neppure foto più grandi delle altre. Solo i simboli del partito e sopra una miriade di facce le generalità scritte in piccolo. Domani si vota. Non esiste un candidato alla presidenza della Regione, nessuno osa uscire allo scoperto. Proporzionale purissimo, i giochi si fanno dopo. Tanto, cambierà molto poco.
Alle Politiche la Valle d’aosta vota più o meno in linea con il resto del Paese. Lo scorso 4 marzo, 24,11% ai Cinque stelle, 21,74% al Pd, 17,46% alla Lega. Quando si vota a casa propria invece, prevale la difesa delle proprie prerogative. L’italia e le sue dinamiche politiche scompaiono. Gli unici partiti tradizionali rappresentati nello scorso Consiglio regionale erano M5S e Pd, con la bellezza di due e tre consiglieri su 35. Sulla scena restano solo le formazioni come Union Valdotaine, UV progressiste, e Stella Alpina, declinate in ogni scissione e faida interna possibile ma tutte sinonimo di autonomia regionale, l’unica cosa che conta.
Mamma autonomia si è ammalata, anche per via della crisi. Fino a pochi anni fa garantiva il sessanta per cento dei posti di lavoro sul territorio, compresa una Regione ipertrofica con 4.668 dipendenti, in pratica uno ogni venti valdostani, che sono poco più di novantamila. E così il sistema ha cominciato a scricchiolare. Anche per questo i partiti «italiani» sono tornati ad affacciarsi su piazza Chanoux. Da Matteo Salvini a Luigi Di Maio passando per Silvio Berlusconi, tutti hanno fatto il loro bel comizio. La Lega è la favorita del lotto, ma avrà al massimo 7-8 consiglieri, che andranno comunque miscelati con gli autonomisti. Perché qui tutto scorre come acqua sulla pietra. Tranne Rollandin, detto l’imperatore, da quarant’anni al potere. «Solo la storia mi può giudicare» ripete al telefono. Nell’attesa, si ricandida, nonostante un carico di accuse impressionante. Per legge non potrà più fare il presidente, ma da queste parti l’impossibile non esiste.
Pochi giorni fa i magistrati hanno depositato centinaia di pagine che a loro avviso documentano il «preciso e articolato» sistema clientelare e corruttivo della Val d’aosta. Nel suo piccolo, c’è un episodio che più di ogni altro racconta l’onnipotenza e l’uso distorto dei super poteri autonomi. Nel 2015 Rollandin partecipa al Tor de Geants, la gara di trail non competitiva considerata tra le più dure del mondo. Si ritira a metà percorso. Ma chiede di essere inserito tra quelli che hanno ultimato la gara. La giuria rifiuta. L’anno dopo la Regione autonoma toglie la sponsorizzazione al Tor de Geants e si inventa una nuova corsa con lo stesso tracciato, ma al contrario. Al modico costo di seicentomila euro.