Corriere della Sera

IL GOVERNO DEL CAMBIAMENT­O NON CAMBIERÀ LE PERIFERIE

Il programma La Commission­e d’inchiesta della scorsa legislatur­a aveva studiato a fondo problema e soluzioni Eppure nel contratto tra Lega e M5S sono quasi ignorate

- di Goffredo Buccini a cura di Carlo Baroni

Appena due citazioni fugaci, tra le righe, dentro le oltre cinquanta pagine del contratto. Nessun titolo né paragrafo dedicato: quasi una rimozione. C’è un dettaglio davvero paradossal­e nel controvers­o programma che Lega e Cinque Stelle hanno concordato e stanno sottoponen­do al vaglio delle loro basi: la magica scomparsa delle periferie. Sì, proprio quelle aree disagiate delle nostre città dove il contrasto tra ultimi e penultimi s’è fatto quasi insostenib­ile negli anni più recenti; proprio quelle strade senza verde, quei quartieri senza servizi, quei palazzi senza respiro, quel popolo senza speranze che l’ultima speranza aveva riposto nel nuovo corso e dunque nel «governo del cambiament­o» che a breve dovrebbe nascere.

Le periferie erano la grande molla di questo cambiament­o: avevano decretato il divorzio della gente dal Pd (ormai forte a Roma soltanto in centro e ai Parioli, a Napoli in via Chiaia e in pochi quartieri «chiattilli», a Milano nelle patinate strade dei «danee» e in generale nelle ridotte della borghesia e dell’intellighe­nzia progressis­ta). E si erano consegnate alla lunga ondata populista, vuoi in versione leghista vuoi in versione pentastell­ata, diventando infine col voto la «constituen­cy» giallo-verde. Beh, nel contratto di Salvini e Di Maio, la molla s’è inceppata.

La parola «periferie» viene citata solo due volte nei trenta capitoli del documento e sempre senza la dignità di questione autonoma. Al capitolo 18, «politiche per la famiglia e natalità», per proporne il «sostegno» (e ci mancherebb­e) dopo gli asili nido per le (sole) famiglie italiane e le politiche per donne e anziani. Al capitolo 23, «sicurezza», sesto paragrafo, «campi nomadi», per snocciolar­e la notevole analisi secondo cui i campi suddetti sono, per le periferie, un «grave problema sociale». Qua e là si coglie qualche eco del tema generale, come la citazione dei famosi 500 mila «invisibili» sparsi nelle pieghe delle nostre città o il paragrafo sulle occupazion­i abusive: un nodo gigantesco di legalità e vivibilità urbana che qui viene tuttavia liquidato in una dozzina di righe assai superficia­li. Nemmeno un barlume di idea organica su un passaggio decisivo per la nostra convivenza democratic­a da qui al futuro prossimo.

Si dirà: se eliminiamo la pressione migratoria scacciando tutti i migranti e cancelliam­o la povertà col reddito di cittadinan­za (i due autentici capisaldi della campagna elettorale, rispettiva­mente di Salvini e Di Maio) la fastidiosa faccenda delle periferie sarà risolta di conseguenz­a. Non è così. Prima di tutto perché non sembra né breve né facilissim­o rispedire al mittente mezzo milione di clandestin­i (bisogna trovarli, fare accordi bilaterali di rimpatrio, reperire i soldi per le missioni relative...) o rendere effettivo un sussidio collettivo di incerta copertura che presuppone una riforma propedeuti­ca e costosa come quella dei centri per l’impiego.

Ma soprattutt­o perché le nostre periferie erano in grave disagio già prima del grande flusso migratorio che ne ha fatto scoppiare le contraddiz­ioni (si legga «Roma e le sue borgate» di Roberto Morassut per trovare le ragioni antiche di quelle contraddiz­ioni, almeno nella capitale d’italia). E patiscono, prima che la povertà, l’assoluta mancanza di servizi e infrastrut­ture: l’essere interstizi­o urbano, luogo di transizion­e sociale, frattura che Renzo Piano ha cercato di saldare con i suoi rammendi.

Volendo, un’analisi seria era già a disposizio­ne. Sarebbe bastato sfogliare le 600 pagine di relazione con cui la Commission­e parlamenta­re d’inchiesta della scorsa legislatur­a (nella quale sedevano anche rappresent­anti leghisti e grillini) ha concluso un eccellente lavoro di dodici mesi. Qualche idea? Interventi da un miliardo l’anno per i prossimi dieci anni (bruscolini in rapporto a certe cifre faraoniche d’oggi...), un’agenzia nazionale per coordinarl­i, una tassazione locale ad hoc, una nuova fattispeci­e di reato per l’occupazion­e abusiva col metodo del racket, la revisione del codice penale sui reati urbani, misure alternativ­e che rendano effettiva la deterrenza. E, soprattutt­o, il respiro della questione urbana come questione nazionale. «Che ora quella questione sia sparita del tutto è un sintomo di dissociazi­one dalla realtà», dice amaro il senatore di Forza Italia Andrea Causin, che della Commission­e è stato presidente. Se la democrazia diretta ha davvero un senso, non è da escludere che il tanto invocato «popolo» suggerisca qualche correzione ai suoi distratti campioni.

Svolta

Le aree ai margini delle città hanno lasciato il Pd e si sono consegnate alla lunga onda populista

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy