«Ecco perché uso la rucola nel Sol Levante»
Nakamura Koumei in Giappone è una personalità. Chef, titolare di svariati ristoranti, volto noto della televisione, ma soprattutto grande esperto di «washoku», l’insieme delle pratiche e dei rituali legati alla preparazione del cibo tradizionale nipponico, patrimonio Unesco dal 2013. Insomma un conservatore, un custode della cultura gastronomica del suo Paese. Eppure Koumei, nei giorni scorsi in Italia ospite delle Cantine San Marzano a Fasano a suo modo è anche un innovatore: ha introdotto nei suoi piatti tradizionali materie prime non giapponesi, aprendosi così all’occidente senza tradire le tecniche della cucina nipponica. Con lui, per esempio, il francesissimo foie gras è approdato sul sushi e sul «matsutake», un fungo profumato che può costare un migliaio di euro. Il piatto più richiesto nei suoi ristoranti è il chawanmushi di miso, una zuppa con uova a cui aggiunge formaggio, ingrediente quasi assente nella cucina del Sol Levante, che si fa arrivare dalla Svizzera e che mette anche sull’aragosta fritta. Serve poi la rucola, poco conosciuta in Giappone, con pomodori, salsa di soia e kurozu (aceto nero ). Un’ insalatanip po mediterranea, insomma. E siccome non si vive di solo sakè, lo chef Nakamura Koumei è diventato anche un cultore del vino italiano. Al sashimi di tonno, per esempio, abbina un bianco di struttura e su sarde e umeboshi un rosè di primitivo.
d Riservati, secchioni, regalano ai piatti della tradizione il tocco in più tipico dello sguardo forestiero