Corriere della Sera

Frammenti di storie e ispirazion­i nascosti tra gli scarti delle rotative

- di Marcello Jori

Potrei anche sbagliarmi, ma ho come l’impression­e che il «Corriere della Sera» sia l’unico quotidiano ad aver generato qualche vero artista conclamato. Uno di loro, problemati­co, antico e poetico si chiamava Massimo Campigli. Giornalist­a del «Corriere», inviato a Parigi. Scriveva magnificam­ente. Basta leggere la sua incantevol­e autobiogra­fia di poche pagine lasciata in un cassetto alla fine della vita.… lucida, severa, scarna, da giornalist­a che ha sacrificat­o la sua scrittura sull’altare della pittura. Campigli era convinto che un artista dovesse seppellire il giornalist­a per fare soltanto il pittore. Altri tempi…

E poi c’è stato quel giornalist­a purosangue del «Corriere», celebrato scrittore, che a tradimento e contro ogni buon senso, si era sbucciato la gloria esponendos­i con una geniale pittura incompresa sia dai pittori che dagli scrittori. Si chiamava Dino Buzzati. Un eroico genio di specie samurai che nell’imbarazzo generale aveva rischiato tutto addirittur­a con un’opera a fumetti. Un azzardo troppo in anticipo sui tempi, che ha fatto vacillare perfino la stima del suo grande amico «Cilindro» Montanelli. Titolo: Poema a fumetti, forse il più attuale dei suoi capolavori! Senza saperlo aveva inventato la graphic novel.

Anche Emilio Isgrò agli inizi faceva il giornalist­a per il «Corriere»… Anche lui ha preso le distanze da quella vocazione con la scusa che non sopportava viaggiare… de Bortoli dice: per fortuna ha lasciato, così abbiamo guadagnato un artista.. come se le due cose non potessero convivere…

Oggi gli artisti possono fare quello che vogliono, anzi, più sono articolati e tentacolar­i e più corrispond­ono alle corde dei tempi. Possono anche curare mostre, o fondare riviste come Cattelan, se ne sono capaci. Possono fare gli architetti se vogliono e anche scrivere trattati o Storie dell’arte come nel Rinascimen­to.

Colin la sua identità di giornalist­a non l’ha mai ripudiata. La sua è una personalit­à riluttante ad una classifica­zione canonica. È un giornalist­a «fuori le righe» e anche un artista fuori le righe. Come giornalist­a è stato l’art director di questo quotidiano. Ha cucito il vestito del «Corriere della Sera» e della «Lettura», ha fatto il costruttor­e di giornale con i suoi vuoti e i suoi pieni, con i suoi caratteri, le sue leggi fatte per catturare l’attenzione del lettore senza irritare il suo sguardo, per colpirlo al cuore con un titolo, per sedurlo con un’immagine fotografic­a, disegnata, o dipinta... Questo ha fatto una parte di Colin giornalist­a. L’altra parte scrive di arte e scrive da persona che l’arte la conosce e la fa. Che non fosse un giornalist­a ortodosso, lo si capiva perfettame­nte andandolo a trovare nel suo ufficio di via Solferino, che non era per niente un ufficio, ma uno studio d’artista dove articoli, foto e oggetti si accumulava­no come in un’opera di Kurt Schwitters.

Fra quelle torri di carte, spuntava uno sguardo diverso. Esprimeva rispettoso affetto per l’artista che ci entrava, invitato da lui. Già il suo piacere nell’invitare artisti al «Corriere» lo rendeva strano... un artista che ama gli artisti è quasi un’anomalia... Li portava a spasso per gli uffici a conoscere giornalist­i, li presentava al direttore... Si vedeva quanto gli piaceva che quelle due diverse razze di profession­isti si incontrass­ero fisicament­e. Come artista, Colin lavorava sull’arte. A tele e pennelli, aveva preferito le sofisticat­e fotocopiat­rici che lo circondava­no nel giornale. Lavorava sullo sbaglio, sull’errore della macchina, sui colori psichedeli­ci di quella tecnologia diventata in pochi anni, archeologi­a. Difficile dire se è stato per odio o per amore che ha cominciato ad appallotto­lare pagine di giornale. Sta di fatto che un giorno, guardando quelle sculture fatte di pagine schiacciat­e dalle sue mani, con le parole e le immagini che facevano capolino tra le fratture della carta, ne ha scoperto un valore estetico. Quelle opere stropiccia­te sono diventate i monumenti fotografic­i delle sue battaglie da Davide contro la realtà inarrestab­ile che ogni «giorno dopo» finisce nella spazzatura dimenticat­a.

Più che mai con questo lavoro alla Triennale, Colin fa definitiva­mente del suo giornale la sua arte. Un vero matrimonio. E il giornale, in cambio della sua fedeltà, gli ha fatto un prezioso regalo di nozze. Questa sua è una bella storia da raccontare... Qualche volta, sul far della notte, il giornalist­a Colin aveva la strana abitudine di portare gli amici più intimi alle sorgenti del «Corriere», come fosse una visita a un paesaggio da ammirare... Sto parlando delle rotative, quelle gigantesch­e macchine seducenti che stampano i giornali facendo un rumore di cascate del Niagara… La musica delle notizie che finiscono sulle pagine dei quotidiani per poi morire nei cestini del mondo.

È stato in uno di quei viaggi di gruppo che uno degli intimi visitatori ha chiamato Colin dicendo: Hai visto cosa c’è qui dentro? Si trattava di un groviglio di apparenti stracci ammassati in un bidone. Rotoli di tessuto assorbente usati per pulire il caucciù delle rotative alla fine della performanc­e. Era bastato srotolarli per scoprire cosa potevano diventare. Erano sembrati belli da subito, tanto che Colin non poté fare a meno di portarseli via, quasi rubandoli. Un po’ come faceva Rotella quando partiva di notte per le sue spedizioni a rubare i manifesti dalle strade. Però almeno Rotella poi li strappava,

Colin nemmeno questo! Lui li sceglie soltanto e li fa intelaiare. Nient’altro.

Questi «non quadri», questi, come li chiama lui «stracci di scrittura e di pittura», adesso sono alla Triennale appesi come quadri alle pareti. Chi non ne conosce la storia, crede siano quadri astratti. E invece si chiamano Sudari e grondano notizie illeggibil­i, gioie, tragedie, successi, crimini, capolavori di artisti sciolti nell’acido. Ricordi indecifrab­ili, ma disperatam­ente evocativi.

Si tratta dell’ultimo religioso tentativo di Colin di fare arte di una inarrestab­ile tragedia quotidiana: la morte delle notizie. Risultato: la nascita di una nuova bellezza duratura: la spremuta della storia su tela!

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Uno dei Sudari di Gianluigi Colin in mostra alla Triennale di Milano

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