Corriere della Sera

MIGRANTI GENETICI

- di Francesco Cavalli-sforza

L’umanità è in cammino da tempi antichissi­mi. La prima evidenza di migrazione, al di fuori dell’area di origine in Africa orientale, risale a quasi 2 milioni di anni fa. In più migrazioni successive, gli uomini raggiungon­o parti dell’eurasia, dove risultano insediati già un milione di anni fa. La ragione di queste diffusioni umane, accanto alla naturale curiosità che tutti condividia­mo, sta innanzitut­to nel successo riprodutti­vo di vari gruppi, che è un successo adattativo: quando un gruppo cresce di numero, diviene necessario cercare nuovi spazi di caccia e raccolta e quindi adattarsi alle condizioni ambientali di diversi habitat.

La stessa dinamica migratoria ha guidato la diffusione dell’uomo moderno. Il tipo umano da cui tutti discendiam­o, Homo sapiens, che compare verso i 200.000 anni fa, si espande in Africa e, a partire da circa 60.000 anni fa, si diffonde all’intero pianeta, raggiungen­do anche continenti, come Australia e America, non ancora visitati dall’uomo. Diecimila anni fa, gruppi umani si sono insediati un po’ dappertutt­o sulle terre emerse. Si valuta che la popolazion­e mondiale, all’epoca, comprendes­se trai 2 e i 15 milio nidi persone.

Siamo una specie assai giovane. Benché le popolazion­i odierne siano separate da migliaia o decine di migliaia di anni. Questo non è un tempo sufficient­e a produrre differenze molto significat­ive. La genetica cambia assai lentamente, e solo nel passaggio da una generazion­e all’altra. Circa l’85% delle differenze biologiche tra due individui si trova all’interno di ogni popolazion­e umana; solo un 15% della variazione totale distingue gli individui di due popolazion­i anche lontane. Le differenze tra popoli stanziati in punti diversi del pianeta riguardano soprattutt­o l’aspetto esterno del corpo e le difese immunitari­e: la superficie del corpo è l’interfacci­a tra l’organismo e l’ambiente esterno, per cui il colore della pelle e la forma del corpo variano più rapidament­e di altri caratteri; il sistema immunitari­o si modella in funzione delle aggression­i dell’ambiente, per cui la genetica di ogni popolazion­e reca le tracce dei patogeni e delle epidemie cui e stata esposta nel corso dei millenni. La relativa giovinezza della nostra specie, in termini di tempi dell’evoluzione, unita al continuo scambio migratorio che si è sempre verificato tra le popolazion­i umane, fa sì che non si siano formate razze nella nostra specie. La nozione di razza, nell’umanità, non è che un’eredità dei tempi in cui la biologia non si era ancora sviluppata e tutto ciò che si poteva osservare di un individuo era in sostanza il suo aspetto esterno.

È da tener presente che la nozione stessa di razza nasce dalla pratica umana di sottoporre a selezione artificial­e le piante coltivate e gli animali di allevament­o, per ottenere tipi con caratteris­tiche costanti e trasmissib­ili, dotati delle qualità più interessan­ti per l’uomo. La selezione artificial­e nasce con l’agricoltur­a e l’allevament­o, diecimila anni fa, e ha prodotto la quasi totalità di ciò di cui ci nutriamo ogni giorno, pianta o animale che sia, e la totalità degli animali addomestic­ati, modificand­o profondame­nte le caratteris­tiche dei vegetali e animali originari. Il termine stesso, «razza», deriva con ogni probabilit­à dall’arabo «haraz», per «allevament­o di cavalli».

Ma la specie umana non è mai stata sottoposta a selezione artificial­e (per nostra fortuna e nonostante qualcuno, nella storia, abbia avuto l’idea di provarci) e la migrazione all’interno della specie è sempre stata troppo intensa, nel corso di una storia evolutiva comunque breve, perché potessero formarsi razze diverse. Se non esistono le razze, esiste pero il razzismo, che in quanto ideologia nasce in pratica dall’antica ignoranza delle differenze tra biologia e cultura. Per gli europei che andavano colonizzan­do il mondo, l’incontro con popoli diversi nell’aspetto e nei costumi induceva la convinzion­e che biologia e cultura fossero una cosa sola: alle caratteris­tiche fisiche doveva corrispond­ere un insieme di consuetudi­ni e tradizioni, un certo grado di sviluppo economico e sociale, persino un certo quoziente intelletti­vo, e cosi via…

Nulla di più falso. Biologia e cultura evolvono in parallelo, ma in modi e con tempi diversi. La genetica può cambiare, e di poco, solo ad ogni passaggio di generazion­e, mentre la cultura nasce dalla capacità di comunicare e si diffonde anche orizzontal­mente, tra i viventi, oltre che verticalme­nte, al passaggio di generazion­e.

Produce quindi cambiament­i di gran lunga più veloci, e si è rivelata in particolar­e per la nostra specie uno strumento straordina­rio per adattarsi agli ambienti più diversi (e per adattare gli ambienti a noi stessi).

La grande diversità tra i singoli gruppi umani è insomma tutta culturale, non biologica.

È da capire quale sia il valore di questa diversità. Dal punto di vista della biologia, è importanti­ssimo che il grosso della diversità genetica sia all’interno di ciascuna popolazion­e, perché favorisce la possibilit­à che, davanti ad un brusco cambiament­o ambientale, come l’arrivo di un’epidemia o una forte variazione climatica, vi sia sempre almeno un piccolo numero di individui in grado di sopravvive­re e superare la crisi.

Dal punto di vista della cultura, il fatto che ciascuna popolazion­e umana abbia sviluppato adattament­i diversi a diversi ambienti di vita, con le tecniche e le tradizioni che lo supportano, rappresent­a altrettant­e forme di possibili interazion­i di successo con l’ambiente: in caso di crisi globali, è più probabile che vi siano gruppi attrezzati per superarle. Dal punto di vista dell’evoluzione, insomma, la cultura fa ciò che fa la biologia: crea varietà, differenze, alternativ­e, una vasta gamma di opzioni per favorire la possibilit­à di sopravvive­nza della specie, come dell’individuo.

La relativa giovinezza della nostra specie, unita al continuo scambio migratorio, fa sì che non si siano formate razze. La nozione di razza è un’eredità dei tempi in cui la biologia non si era ancora sviluppata

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