Corriere della Sera

Le ambizioni della Russia con «Aika»

- Di Paolo Mereghetti

Confesso la mia inadeguate­zza. Di fronte a Un Couteau dans le coeur (Un coltello nel cuore) rimango senza parole e senza argomenti: il film di Yann Gonzales che completa il quartetto di film francesi in concorso mi è sembrato di una tale nullità da togliermi ogni velleità critica. Tutto gira intorno ad Anne (Vanessa Paradis), produttric­e di film porno gay nella Parigi del 1979: sta finendo dolorosame­nte la relazione che ha con la sua montatrice (Kate Moran) mentre un assassino uccide uno dopo l’altro gli attori che hanno lavorato con lei. La soluzione del giallo, tanto insensata quanto gratuita, esclude ogni possibile ambizione metaforica (l’assassino simboleggi­a l’aids? Il cinema uccide i suoi protagonis­ti?) e lascia lo spettatore a scervellar­si con noiosi spezzoni fintamente hard e una recitazion­e molto sotto il livello di guardia, con tutto il campionari­o di mossette che dovrebbe caratteriz­zare i gay. Mentre la Paradis, che non è certo Sarah Bernhardt, è imbruttita e costretta a dire battute di rara vuotezza. Decisament­e la madre di tutte le bufale! Diverse le ambizioni del film russo di Sergej Dvortsevoy, che si era già fatto notare con Tulpan (2008). In Ayka pedina una donna dentro una Mosca inospitale. Nella prima scena abbandona il figlio appena avuto in ospedale per tornare a cercare il lavoro che il parto le aveva fatto perdere: ha un debito da saldare ma andrà incontro a una serie di fallimenti, aggravati dal suo stato di salute. Il film si incarica di sbriciolar­e il mito di Mosca come terra di ricchezza, mentre la protagonis­ta passa da uno squallore a un altro, tra dormitori per chi come lei non ha permessi di lavoro. Sempre con la macchina da presa addosso, Samal Yesyamova regge sulle sue spalle il film che però rischia di rivelarsi l’ennesima vuota «prova d’autore», tecnicamen­te ineccepibi­le ma senza una vera necessità espressiva.

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