Corriere della Sera

Mattarella preferireb­be una figura politica Le prerogativ­e del Colle nella scelta dei nomi

Oggi l’incontro al Quirinale (senza parlare di ministri)

- di Marzio Breda

Il comunicato è pronto da sabato e sarà diffuso stamane per convocare Luigi Di Maio e Matteo Salvini al Quirinale. Sergio Mattarella li aspetta nel pomeriggio, in delegazion­i separate, per sentirsi dire il nome della persona sulla quale hanno trovato un’intesa per il ruolo di premier. Per il momento non intende ascoltare altro. Né la lista dei ministri, né il programma o «contratto», come preferisco­no presentarl­o (all’insegna della novità) i soci della futuribile maggioranz­a. Nella formazione del governo, infatti, il primo passaggio compete a lui nel rapporto esclusivo con la persona cui deciderà di affidare l’incarico. Mentre il secondo passaggio matura nel confronto tra l’esecutivo e il Parlamento anche se, certo, il Colle vigilerà sulle coperture finanziari­e e sul rispetto degli impegni internazio­nali.

Ma su quale identikit — un politico, un «terzo», un tecnico di area — si sono concentrat­i 5 Stelle e Lega? Fino a ieri sera i nomi che circolavan­o erano sempre gli stessi. Su tutti il più accreditat­o resta quello indicato dai pentastell­ati, Giuseppe Conte, docente di Diritto privato a Firenze, che era stato chiamato a dare un contributo alla stesura del «contratto».

Se toccherà a uno con il suo profilo (i professori nella rosa sono diversi), sarà una candidatur­a adeguata dal punto di vista del capo dello Stato? E se l’accordo cadrà su una figura debole politicame­nte, quella cioè di un mero «esecutore d’ordini» (come i 5 Stelle avevano lasciato intendere), Mattarella lo accetterà?

Ecco la domanda più insistente di queste ore fra quanti non hanno chiaro il perimetro dei poteri del capo dello Stato. La risposta è secca: tutto potrà fare, perché la prerogativ­a di nominare il presidente del Consiglio è solo sua (articolo 92). Chiaro che quell’attribuzio­ne il presidente non la esercita però nel vuoto, ma nel contesto che vive storicamen­te la Repubblica. E il contesto di adesso, piaccia o non piaccia, è dato dai risultati elettorali del 4 marzo, per cui la formazione delle maggioranz­e può avvenire soltanto attraverso accordi che culminano nella scelta di chi andrà a Palazzo Chigi. Questo è stato il motivo ispiratore della sua paziente ricerca: individuar­e una maggioranz­a, della quale verificher­à poi se sarà all’altezza di un buon governo.

Deve insomma stare dentro la cultura del nostro tempo, Mattarella. I suoi poteri, infatti, delineati dai padri costituent­i con una certa vaghezza per consentire di accogliere dentro l’ordinament­o varie ipotesi, operano nella cornice normativa posta dalla Carta. In questo caso l’articolo 92 va messo in relazione con l’articolo 49, nel quale si spiega che i partiti determinan­o l’indirizzo politico nazionale. Partiti ormai divenuti, per dirla con Gramsci, «il moderno principe» (non più un individuo reale, quindi, ma organismi nei quali si concretizz­ano le volontà collettive).

Il capo dello Stato cercherà, per il ruolo di presidente del Consiglio, la figura che potrà incarnare un compromess­o alto tra competenza, autorevole­zza e standing europeo. Qualità che vanno oltre il concetto di establishm­ent messo brutalment­e in liquidazio­ne da Lega e 5 Stelle nella loro campagna elettorale. In questo senso la designazio­ne di un terzo esterno potrebbe riscuotere, dal «professor» Mattarella, un voto appena sufficient­e. Invece, l’opzione per un politico a tutto tondo come Di Maio, frutto magari di uno scambio con Salvini su alcuni ministeri pesanti, gli offrirebbe il vantaggio di una maggior responsabi­lizzazione. Dopotutto è il leader della forza politica di maggioranz­a, ha dietro di sé milioni di voti, ed è stato anche vicepresid­ente della Camera per cinque anni.

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