IL BUON ESEMPIO PER BATTERE LE CATTIVE ABITUDINI
Caro direttore, possiamo dirci fortunati e siamo indotti a sperticarci in laudi, plausi, felicità e sprizziamo gioia di vivere allorquando un vigile urbano sanziona un cittadino che non ha raccolto gli escrementi lasciati dal suo cane; quando un insegnante assegna un brutto voto a uno studente indisciplinato e impreparato; quando un netturbino pulisce con meticolosa cura una caditoia intasata dalle foglie. Non dovrebbe essere normale, per un pubblico dipendente, difendere la dignità della propria figura di lavoratore, svolgendo al meglio delle proprie possibilità, il compito che ha chiesto che gli venisse affidato? Ci siamo disabituati ai valori fondanti della nostra civiltà? Dobbiamo cambiare registro. Pretendiamo assunzioni di responsabilità e non sottraiamoci all’obbligo di dare l’esempio. Non c’è alternativa se vogliamo dare un futuro ai nostri posteri. Renzo Maria Marchetti Caro signor Marchetti, lcuni italiani hanno l’abitudine di comportarsi nella vita pubblica e nei confronti dei beni di tutti con un atteggiamento che mai avrebbero nelle loro case e nelle loro vite private. Tollerare gesti poco civili (sporcare le strade, parcheggiare in doppia e tripla fila, danneggiare scuole, insultare insegnanti) è diventata spesso la normalità. Voltare lo sguardo da un’altra parte una caratteristica comune: per questo ci meravigliamo
Aquando un dipendente pubblico fa con rigore il proprio dovere. In fondo siamo abituati a pensare che siano tutti «furbetti del cartellino» che passano il tempo a escogitare trucchi per non lavorare. Non è così, anche tra loro ci sono due Italie: solo una pensa che lo Stato siamo tutti noi e svolge con serietà e impegno il proprio lavoro. Dare l’esempio è dunque fondamentale: da parte della classe politica, dei dirigenti della pubblica amministrazione, di tutti quelli che svolgono una funzione collettiva. Ma poi ci siamo noi come persone: perché non cominciamo a cancellare qualche cattiva abitudine immediatamente? Ad esempio non contestando sempre gli insegnanti dei nostri figli ed evitando di considerare le città come il regno della giungla.